Post by Davide PioggiaSe fosse come dici tu, allora la concezione dell'_eidos_ come la "realtà
vera" delle cose sarebbe presente in tutta la cultura greca, sicché Platone
ed Aristotele non farebbero altro che dare voce a quella concezione. Ne
sarebbero, per così dire, i "cantori", senza avere un ruolo fondante nella
elaborazione di quella concezione del mondo.
In tal caso però dovremmo trovare tracce evidenti di "platonismo" o
"aristotelismo" in tutta la cultura greca, eventualmente "ante litteram",
già a partire dai miti di fondazione di quella civiltà. Che tu sappia, sono
note queste tracce?
Certo, la tua è una domanda inaggirabile. Io parlavo di una "capacità
semantica" del termine _eidos_ - cioè a dire, in sostanza: non è che
Platone e gli altri si sono, rispetto alla configurazione della lingua dei
greci, inventati di sana pianta associazioni tra termini e significati,
perchè, come sai, nessuno può avere un tale potere sul linguaggio. Ad
esempio - e qui è il solito Severino a darmi una mano - il termine
_episteme_ (costruito sulla radice _sta_, che indica lo _stare_), che in
Platone e poi in Aristotele (per il quale la filosofia è _episteme tes
aletheias_) designa la _scienza_, ha una traccia
eminente già in Eschilo [Agamennone, vv.163-166]: <<non ho che da
rivolgermi a Zeus _con un sapere che sa tutte le cose_ (_pant'
epistathmomenos_), se è necessario cacciare via dalla mente il dolore che
rende folli>>. Severino usa questo verso per giustificare quella sua
interpretazione che pone l'avvertimento della angoscia a fondamento della
filosofia (e tanto l'angoscia quanto il rimedio avrebbero, nella filosofia
greca, quel *nuovo* significato costituito dalla ontologia: l'angoscia
sarebbe angoscia per il nulla che sta prima e dopo il permanere delle cose
nell'essere). Ma a noi quel che interessa, è che un termine quale
_episteme_ ha una sua traccia linguistica già in Eschilo (VI secolo a.C.).
E sappiamo che _episteme_ non è certo disgiunto da _eidos_. E Zeus fa
parte proprio dell'universo mitico di "fondazione".
Ma, ovviamente, una risposta completa alla tua domanda richiederebbe ben
altre indagini testuali.
Post by Davide PioggiaIn altri termini, a seguire questi ragionamenti (e pure i suggerimenti di
Severino) si ha quasi l'impressione che la domanda che si sono posti
esplicitamente Platone ed Aristotele (ovvero, in soldoni: «Cos'è quella cosa
che ci fa dire che tutti i cavalli sono la "stessa cosa" benché non ci sia
un cavallo uguale ad un altro? Cos'è che fa di un cavallo ciò che è?») e la
«Ciò che fa di tutti i cavalli la "stessa cosa" è il loro _eidos_, la loro
"forma specifica", e solo chi ha colto l'_eidos_ del cavallo può dire di
*sapere* che cosa è un cavallo») abbia profondamente percorso tutta la
cultura indoeuropea (e dico indoeuropea solo perché non so nulla delle
altre: chissà cosa salterebbe fuori andando a scartabellare fra le radici
semitiche, eccetera).
Sicuramente in parte è così. Tieni comunque presente - e son cose che ben
sai - che è variamente discutibile come le possibilità essenziali del
"pensiero" dipendano dalla "lingua". E non solo. Di originale - di
radicalmente originale - c'è nei Greci per lo meno la riflessione
ontologica. Noi possiamo immaginare tutta la riflessione filosofica greca
preontologica - diciamo pure i cosiddetti "presocratici", con la notevole,
decisiva eccezione di Parmenide - come una "galassia" concettuale che
poggia su un "imbuto" che conduce alla sistemazione ontologica data da
Platone ed Aristotele. Dopo l'evento di tale sistemazione, "nulla fu più
com'era prima". L'imbuto, possiamo dire, è proprio Parmenide.
Quanto allo scartabellare tra altre radici, ti sarà nota l'opera di
Giovanni Semerano (che è morto pochi mesi fa, quasi centenario). Qualche
volta se ne è parlato sul ng. Costui è convinto, ad esempio, che la parola
_apeiron_ - termine che, come sai, compare per la prima volta nella
letteratura filosofica occidentale in Anassimandro - derivi dall'accadico,
lingua alla quale quale, in sostanza, apparterrebbero le radici
indoeuropee, giacchè il "ceppo indoeuropeo" sarebbe una costruzione
teorica fatta a tavolino dai linguistici del XIX secolo. Insomma, Semerano
ha tentato di dare una "raschiata".
Post by Davide Pioggia[...]
Ma allora, se ogni cavallo ha una forma diversa
nonostante ogni cavallo abbia lo stesso _eidos_, questa forma che cambia da
cavallo a cavallo non è forse la _morphé_?
Sembrerebbe di sì, o Socrate:-). E ti fornisco sotto un "esempio".
Post by Davide PioggiaRiformulo dunque la domanda: lo troviamo da qualche parte un testo greco in
cui si parli sia dell'_eidos_ sia della _morphé_ di un oggetto, per vedere
se la seconda è quella cosa "concreta" :-) a cui bisogna adattare di volta
in volta le selle, le staffe, gli abiti o i mobili?
E questa è una buona domanda. Certo che c'è un tale testo. Ad esempio il
Timeo di Platone, che ti invito, casomai non lo avessi già fatto, a
sfogliare. Non solo, in due righe, si dice se non tutto sicuramente
moltissimo sulla relazione tra l'_eidos_ ed il _logos_ (e Aristotele,
ovviamente, approfondirà tale relazione), ma si fa appunto l'uso di
_morphé_ al quale siamo interessati. Procedo per punti, per non
ingarbugliare troppo.
1.
Dunque, Platone, interessato a tracciare una
"costituzione" del cosmo, parla innanzitutto di un "principio" distinto in
due "generi": <<l'uno posto come _forma di esemplare_ (_paradeigmatos
eidos_; tieni presente la radice su cui è costruito _para-deigma_), come
_intellegibile_ (_noetòn_) e come _essere che è sempre allo stesso modo_;
il secondo come _imitazione dell'esemplare_ (_mimema paradeigmatos_), che
ha _generazione_ (_genesin echon_) ed è _visibile_ (_oratòn_; anche qui:
tieni presente la radice)>> [Timeo, 49A, trad. di Giovanni Reale,
Bompiani, 2000].
2.
A questo punto, l'ateniese introduce il "terzo genere": il _ricettacolo_
(_ypodòche_). Dice: <<Quale _potenza_ (_dynamin_) e natura dobbiamo pensare
che abbia [il "terzo genere" richiesto dalla costituzione del cosmo]?
Questa soprattutto: di essere il _ricettacolo di tutto ciò che si genera_
(_pases geneseos ypodochen_) come una nutrice>>.
3.
Insomma, _ypodoche_ è il "ciò in cui": ciò in cui si realizza il sensibile:
_to en o gignetai_. Come la madre, dice l'ateniese.
Tutto ciò illustra bene Platone con il seguente esempio, veramente
lampante:
<<Se qualcuno, dopo aver plasmato con oro tutte le figure, non cessasse di
trasformare ciascuna di esse in tutte le altre figure, quando qualcun
altro, indicandone qualcuna di esse, domandasse _che cosa è_ (_ti pot'
estì_), sarebbe molto più _sicuro rispetto alla verità_ (_pros aletheian
asfalestaton_) dire che è oro; e invece del triangolo e di tutte le altre
figure che in esso si sono prodotte, non bisogna mai _dire che sono_
(_legein tauta os onta_), perchè, mentre si formano, _si mutano_
(_metapiptei_)>>. [Timeo, 50 B]
4.
Insomma, in queste poche righe c'è codificata la soluzione, data dal
pensiero greco, all'ossessione ontologica del divenire. Poi Platone
prosegue, giungendo al punto di nostro interesse: <<Lo stesso ragionamento
vale per la natura che riceve tutti i corpi [cioè per _ypodoche_]. Bisogna
dire che essa è sempre una medesima cosa, perchè essa non esce mai dalla
propria potenza. Infatti essa riceve sempre tutte le cose, e non ha preso
mai in nessun caso e in nessuna maniera _nessuna forma_ (_oudemian morphén_
!!! :-)) simile ad alcuna delle cose che entrano in essa. Infatti per
natura essa sta come materiale da impronta per ogni cosa, mossa e
modellata dalle cose che entrano in essa, e appare per causa di esse ora
in un modo e ora in un altro. E le cose che entrano e che escono sono
_imitazioni delle cose che sono sempre_ (_ton onton aei mimemata_),
improntate da esse,...>>
[Timeo, 50C].
5.
Dunque: le cose che entrano ed escono, che appaiono e scompaiono (dove
_ypodoche_ nomina "ciò in cui" questo apparire-scomparire avviene) non
possono essere tali che _ypodoche_ abbia una _morphé_ simile ad esse. E
perchè non può esserci questa "somiglianza"? Non può esserci, perchè
altrimenti _ypodoche_ non potrebbe accogliere le forme differenti (concetto
ripreso da Aristotele). Avrebbe *una sola* forma, e questa "unità"
renderebbe impossibile quella molteplicità che il ooncetto di _ypodoche_
deve invece rendere possibile.
6.
Ma, affinando questa ovvia risposta, giungiamo a ciò: ciascuna delle
_morphé_ che entrano ed escono da _ypodoche_ *non può* essere la forma di
_ypodoche_, perchè altrimenti tale forma sarebbe l'_eidos_ di _ypodoche_!
Laddove, invece, l_'_eidos_ di _ypodoche_ è precisamente il suo essere
_dynamis_: capacità di accogliere le forme "sensibili" differenti. Ed
infatti, è lo stesso Platone a qualificare ulteriormente _ypodoche_ nel
modo seguente: <<una _specie_ (_eidos_) _invisibile_ (_anoraton_) ed
_amorfa_(_amorfon_), _capace di accogliere tutto_ (_pandechés_;
letteralmente: _che ha tutto_: qui è utile rileggere i significati di
_echein_ illustrati da Aristotele nella Metafisica)
7. Eppure...eppure l'ateniese sembra scompaginare allegramente tutta questa
nostra ricostruzione. Infatti in Timeo 50 D-E non solo dice:
(i) <<dovendo l'impronta _risultare visibile_ (_idein_) in tutte le
svariate varietà, in nessun altro modo quello in cui si realizza
l'impronta sarebbe preparato opportunamente a meno che non fosse _privo
della forma di tutte quante le idee_ (_amorfon... ekeinon apason ton
ideon_) che riceve da qualche parte>>
ma poi aggiunge subito dopo:
(ii)<<In effetti, se questo fosse simile ad alcuna delle _forme_ (vedi
dopo) _che entrano in esso_ (_epeisionton_), quando venissero quelle che
sono di natura contraria e completamente diversa, le riceverebbe e
produrrebbe male, mettendo in mostra il suo aspetto>>.
Qui quel _forme_ di Reale è, nel testo greco, sottinteso. Platone
sottintende quel _ton ideon_ precedente e Reale lo rende genericamente con
"forme"? Assumiamo pure questa ipotesi (ma poi proverò a disfarmene, in
due modi differenti; leggi tutto prima di darmi, eventualmente, una tua
opinione).
E poi:
(iii) <<Pertanto è necessario che sia al di là di tutte le _forme_
(_eidon_), ciò che deve ricevere in sè _tutti i generi_ (_ta
panta...gene_).
8.
Ma è vero scompaginamento?
8.1
Quanto al punto (i), si dice che il ricettacolo deve essere privo della
_morphé_ di tutte quante le _idee_. E' palese - per una ragione collegata a
quello che tu dici alla fine del tuo post - che qui Platone *non* avrebbe
potuto dire "privo dell'_eidos_ di tutte quante le _idee_: sarebbe stato
autocontraddittorio. Le _idee_ "hanno" una _morphé_, nel senso della
"forma" che il ricettacolo, ricevendo le _idee_ (secondo quella relazione
di "partecipazione" etc. che è il problema principale della dottrina
platonica: vedi il dialogo "Parmenide"), ha la capacità di manifestare
sensibilmente.
8.2
Quanto al punto (ii), prima (4.) si era detto che il ricettacolo non prende
_nessuna forma_ (_oudemian morphén_) simile ad alcuna _delle cose che
entrano_ (_ton eisionton; part. pres. costruito su _eis-einai_) in essa.
Adesso si dice che la capacità di "ricezione" del ricettacolo sarebbe
radicalmente compremessa se esso fosse simile ad alcuna delle _forme_ che
entrano in esso - e qui _forma_ è, abbiamo assunto, _idea_; o,
addirittura, è _eidos_, se per "non essere simile a" si intende quel
"essere al di là di" che ho riportato nel punto (iii). C'è contraddizione?
Se proviamo ad identificare le _cose che entrano_ (quelle tali che il
ricettacolo non può assumere nessuna _morphé_ simile ad esse, secondo il
punto 4.) con le _idee_, avremmo che il ricettacolo non può assumere
nessuna _morphé_ simile ad alcuna delle _idee_ _che entrano in esso_
(_epeisinonton_, che ricalca quel _eisionton_ precedente). Grosso modo,
potremmo ricondurci - per risolvere il contrasto - a quanto dicevo nel
punto 8.1, cioè al modo in cui è concesso dire che le _idee_ "hanno" una
_morphé_.
*Ma*, ovviamente, questa mia ipotesi è altamente problematica, perchè se
il _ricevere_ (_dechestai_) è, proprio delle _idee_ (nel senso che le
_idee_ sono ciò da cui si riceve), l'_entrare in_ non è proprio delle
idee, nel senso che le idee non sono ciò che entra *nel ricettacolo*. Ma
la verità, caro Davide, - e questo è il punto centrale - in tutta questa
faccenda complicata, e precisamente nella faccenda della relazione
_ricevere_/_entrare in_, c'è già quella aporia della "trascendenza" che
Aristotele evidenzierà spietatamente con gli strumenti della logica (in
sostanza, con la teoria degli insiemi). *Infatti*, Platone in 50 D
effettuta lui stesso, in meno di una decina di righe, un capovolgimento
della propria dottrina. Infatti dopo aver detto: <<bisogna considerare tre
generi: _ciò che è generato_ (_to gignomenon_), _ciò in cui è generato_
(_to en o gignetai_) e _ciò da cui ricevendo somiglianza_ (_to othen
aphomoioumenon_) si genera ciò che è generato. E _ciò che riceve_ (_to
dechomenon_) conviene paragonarlo alla madre, _ciò da cui riceve_ al
padre (_to othen patrì_; qui "riceve" è sottinteso"), e la natura che è di
mezzo a questi al figlio>>. Ora, questo _ciò da cui riceve_ è il "genere"
delle _idee_. Tre-quattro righe dopo, dice che il ricettacolo _riceve_
(_dechesthai_) le _idee_. Ma allora le idee sono ciò _da cui_ si riceve
somiglianza, oppure _ciò che_ viene ricevuto? Aristotele, appunto, si
volgerà a questo problema, che è problema logico innanzitutto.
Ora proseguo con questa mia elefantiaca analisi testuale. Spero che tu sia
ancora lì a leggermi:-).
8.2.1
Ma tutto questo "imbroglio" (che è comunque collegato al problema
concettuale di fondo: quello della relazione tra le "cose sensibili" e le
"idee"), lo potremmo forse semplificare *in parte* (fermo rimanendo quel
problema di fondo cui facevo riferimento sopra), semplicemente modificando
la traduzione di Reale. Infatti, Reale, al punto 4., traduce _morphén
oudemian pote oudenì ton eisionton omoian_ con _nessuna forma simile ad
alcuna delle cose che entrano in essa_. Al punto 7.(ii), traduce _omoion
on ton epeisionton tinì_ (dove _on_ è il partecipio presente di _einai_,
che concorda al neutro con quel _quello in cui si realizza l'impronta_ che
sta nel punto 7.(i)) con _se questo fosse simile (=essendo simile,
letteralmente) ad alcuna delle forme che entrano in esse_.
Ora, prima avevo riferito questo "forme" usato da Reale al _ton ideon_ di
Platone. Ma in verità, è molto probabile che Reale abbia reso _ton
epesionton_ con _delle forme che entrano in (esso)_ perchè ha sfruttato
quel _amorfon_ immediatamente precedente (vedi 7.(i)). E allora qui, per
Reale, "forme" starebbe per _morphè_. E non solo. Reale aveva tradotto
quel _oudenì ton eisionton_ (punto 4.) con _ad alcuna delle cose che
entrano in (essa)_. E allora anche questo _ ton epeisionton tinì_ può
grammaticalmente essere tradotto con _ad alcuna delle *cose* che entrano
in (esso)_.
8.2.2
Quest'ultima traduzione renderebbe tutto più semplice, rispetto alla
faccenda della relazione _morphé_/_eidos_, _idea_. Se non fosse che dopo
questo _epeisionton tinì_ Platone continua dicendo che (punto 7.(ii)):
<<quando venissero quelle che sono di natura contraria e completamente
diversa, le riceverebbe e le riprodurrebbe male, mettendo in mostra il suo
aspetto>>. E allora sembra che il generico "cose" non si accorderebbe bene
con quel _di natura contraria etc_ ma, soprattutto, con quel _le
riceverebbe e riprodurrebbe male_, che pare esigere, come suo complemento
oggetto, le "forme". Qui, questo _riceverebbe_ ricalca il _dechesthai_
precedente.
8.2.3
Oppure - azzardo - se si vuole mantenere ferma quella che, credo, è la
ragione della traduzione data da Reale nel punto 7.(ii), si potrebbe
rendere quel _morphén oudemian pote oudenì ton eisionton omoian_ di cui al
punto 4. così: _nessuna della forme simile ad alcuna di *quelle* (cioè, le
forme come _morphé_) che entrano in (essa)_.
8.2.4
E qui vengo alla fine, con uno spunto. Qui dovrebbero pronunciarsi i
grecisti di ICC, perchè la questione è piuttosto tecnica (sì, vabbè, me la
cavavo piuttosto bene alle versioni di greco al liceo, ma questo era
"alcuni" anni fa:-)). Reale rende quel _plen amorfon on ekeinon apason ton
ideon osas melloi dechesthai pothen_ (fornisco per esteso l'originale di
cui al punto 7.(i)) con _a meno che non fosse _privo della forma di tutte
quante le idee che riceve da qualche parte>>. Ma mi chiedo: veramente quel
_amorphon_ regge _della forma di tutte quante le idee.. _. Non mi risulta
che _amorphos on_ (lett. _essendo senza forma_) possa reggere un
complemento di privazione. E il Rocci pare confermare questo mio dubbio.
Se così fosse, la tradizione letterale dovrebbe essere come segue: <<a
meno che, essendo privo di forma, non _potesse_ (_melloi_) ricevere tutte
quante le idee da qualche parte>>. Quel _osas_ è l'accusativo femminile
plurale di _osos, e, on_ (_quanto_; concorda evidentemente con
l'accusativo plurale di _idea_). E dunque quel _apason ekeinon ton ideon_
varrebbe come genitivo partitivo.
Dico tutto questo in punta di piedi.
Post by Davide Pioggia-=O=-
Vediamo ora il punto successivo di questo ragionamento (ammesso che ciò che
sto scrivendo sia in qualche modo "ragionevole" :-) )
[...]
Sappiamo come va a finire questa faccenda: Platone si butta da una parte e
Aristotele si butta dall'altra, ponendo così una contrapposizione che durerà
per ventiquattro secoli e passa. Di conseguenza ci ritroviamo con due tipi
di _eidos_: uno "trascendente" ed uno "immanente", il primo "platonico" ed
il secondo "aristotelico".
Certo. Per lo stagirira l'individuo sensibile, empirico - ciò che Platone
chiama la "copia" di un "modello" eterno - è "sinolo" di materia e forma. E
con "sinolo" (e poi con la teoria della predicazione) lo stagirita risponde
a quel problema cui l'ateniese aveva risposto mediante la dottrina della
"partecipazione". Ma queste due tipizzazioni di _eidos_ sono poggiate
entrambe su un unico sfondo ontologico.
Termino, qui, per ora, una fin troppo lunga risposta. Un solo spunto qui
Post by Davide Pioggia1) _eidos_ o _idéa_ di Platone = "idea platonica"
2) _eidos_ di Aristotele = ?
3) _logos_ = "idea" (nel senso comune)
Che ne è del secondo termine?
L'_eidos_ è, ancora, per Aristotele, strettamente congiunto all'"essenza"
(e da ultimo a quel significato "primo" dell'essere che è _ousia_: la
_sostanza_), che nel greco dello stagirita suona come _to ti en einai_
(gli scolastici lo resero fedelmente con _quod quid erat esse_). E
l'"essenza" viene fornita dalla "definizione". Prendi due passaggi del
libro Z della Metafisica, dedicato alla _sostanza_:
<<_La definizione della essenza di una cosa_ (_o logos tou ti en einai_) è
solamente quella che esprime la cosa, senza includerla nella definizione
stessa>> [1029b 19-20]
<<L'essenza c'è solamente di quelle cose la cui _nozione_ (_logos_) è una
_definizione_ (_orismòs_). [1030a 6-7].
Post by Davide PioggiaSu tutti i testi di filosofia che mi sono passati per le mani viene reso
semplicemente come "forma". Ma "forma" è il termine latino corrispondente a
_morphé_, mentre abbiamo visto che probabilmente uno dei punti cruciali per
la comprensione di tutta questa faccenda è proprio la differenza che
intercorre fra l'_eidos_ di Aristotele (cioè la "forma specifica immanente")
e la _morphé_.
Sì, certo. Credo di aver capito il tuo dubbio. Se Aristotele fa scendere
_eidos_ dal regno dei cieli sulla terra, in che cosa _eidos_ riesce ancora
a differenziarsi da _morphé_? Ma secondo me la risposta sta nel fatto che
ad accogliere _eidos_ sulla terra è l'"essenza", che _logos_, quando si fa
_orismòs_, è in grado di *dire*. Così, se io vado dal barbiere a tagliarmi
i capelli (cosa che dovrò fare al più presto), muto certamente una
"forma", ma non l'essenza. Ma poi, non stanno gli empiristi logici a
ricordarci un giorno sì e pure l'altro, che quello di Aristotele è ancora
"essenzialismo", e che dunque lo stagirita aveva ancora lo sguardo rivolto
verso le "stelle"?:-) (dicono loro...)
Ma poi, se dai una occhiata, ad esempio, a Z 1029a, ti accorgi che c'è un
bell'intreccio tra _morphé_ ed _eidos_... Magari ne riparliamo.
Un saluto (perdonami sviste varie, perchè non ho il tempo per rileggere il
tutto),
Marco
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