Discussione:
eidos
(troppo vecchio per rispondere)
Davide Pioggia
2005-10-22 05:30:20 UTC
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Salve,
sono alle prese con tutto quel groviglio di termini e significati che girano
attorno a _eidos_.

Comincio con l'esporre quel poco che credo di sapere.

a) Il termine _eidos_ indica ciò che appare di un oggetto, dunque la sua
figura, la sua forma o il suo aspetto. Esso deriva dalla radice _eid-_, che
è associata al vedere o all'osservare.

b) A sua volta la forma di un oggetto può essere concepita come il "modello"
che viene utilizzato per dare forma alla materia (_hyle_) che lo
costituisce, dunque l'_eidos_ è anche quell'insieme di proprietà che
l'oggetto condivide con tutti gli altri oggetti che sono costruiti sullo
stesso "modello". Così, ad esempio, tutti i cavalli hanno in comune un
_eidos_, che ci permette di collocarli tutti nello stesso insieme, sebbene
ogni cavallo sia diverso da un altro. Possiamo dire che a questo punto
l'_eidos_ è diventato una astrazione, e più precisamente l'astrazione di ciò
che appare di un oggetto. (Qui il riferimento a Platone è evidente, ma -
come spiegherò fra poco - a me non interessa esclusivamente l'uso che ne fa
Platone.)

c) Infine l'_eidos_ può essere riferito non più a quelle caratteristiche di
un oggetto che ci consentono di riconoscerlo come appartenente ad un certo
insieme, ma anche all'insieme stesso, ed in questo senso esso può denotare
la specie, il genere o la classe.

d) In tutti questi casi _eidos_ può essere sostituito da _idéa_.

e) Il latino _species_ ha una evoluzione analoga. Dalla radice indoeuropea
_*spek_, che esprime il concetto dell'osservare, abbiamo il verbo latino
_specere_/_spicere_, e da qui _species_ che inizialmente indica la vista o
lo sguardo. In seguito comincia anche a denotare ciò che lo sguardo coglie
di un oggetto, e dunque il suo aspetto (da _ad-spectus_, appunto), la sua
forma o la sua apparenza. Poi viene riferito solo ai tratti di un oggetto
che ci consentono di collocarlo in un insieme di oggetti che condividono una
o più proprietà, cioè la sua "forma specifica", e finisce per denotare
proprio quell'insieme a cui l'oggetto appartiene, cioè la sua "specie".

--=0O0=--

Ed ora vi pongo alcune domande, ringraziandovi fin d'ora per qualunque
aiuto - anche parziale - vorrete darmi:

1) I punti precedenti vi sembrano condivisibili? In particolare, alcune di
quelle affermazioni solo vere solo per quel che riguarda i testi filosofici
di Platone e di Aristotele, o quegli usi erano già altrimenti attestati?

2) Il fatto che io abbia presentato lo slittamento semantico di _eidos_ in
termini cronologici, come se esso assumesse un significato diverso in tempi
successivi, è almeno vagamente sostenibile da un punto di vista filologico?
Oppure fin da un'epoca remota si trovano contemporaneamente (in autori
diversi, o addirittura nello stesso autore) tutti quei significati che ho
elencato, o buona parte di essi? (In questo secondo caso potremmo ipotizzare
che la deriva semantica si produca a livello psicologico per associazione
già nel singolo individuo, e non attraverso una vera e propria successione
storica.)

3) Se l'_eidos_ indica inizialmente ciò che appare di un oggetto, e dunque
la sua forma, perché non usare _morphé_, che già esprime quel concetto?
E perché il primo subisce quella notevole deriva semantica mentre il secondo
mantiene il suo significato originario? Se ipotizziamo che _morphé_ sia da
associare alla forma posseduta dall'oggetto, mentre _eidos_ sia la forma
vista dall'osservatore (quella presente "nell'occhio di chi guarda", e come
tale passibile di astrazione), disponiamo di qualche testo che possa
confermare questa ipotesi, ovvero che faccia uso di entrambi i termini,
impiegando _eidos_ con una accezione "soggettiva" e _morphé_ con una
accezione "oggettiva"?

4) Il parallelo (impressionante) fra le vicende del termine greco e quelle
del termine latino, è dovuto ad una sorta di "calco linguistico" (per cui -
ad esempio - gli autori latini hanno ripetuto consapevolmente nella loro
lingua ciò che avevano già fatto i greci), oppure i due processi si sono
sviluppati in modo indipendente? (In questo secondo caso si rafforzerebbe
l'ipotesi che questa "forma nell'occhio di chi guarda" produca una serie di
associazioni universali, secondo un processo sostanzialmente
sovralinguistico.)

5) E nota la radice indoeuropea da cui deriva la radice greca _eid-_?
Qualcuno saprebbe indicarmi qualche fenomeno analogo che abbia
interessato altre lingue indoeuropee, o più lontane ancora?

Grazie ancora e saluti a tutti.
D.
Marco V.
2005-10-24 18:50:20 UTC
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Post by Davide Pioggia
Salve,
sono alle prese con tutto quel groviglio di termini e significati che girano
attorno a _eidos_.
[...]
3) Se l'_eidos_ indica inizialmente ciò che appare di un oggetto, e dunque
la sua forma, perché non usare _morphé_, che già esprime quel concetto?
E perché il primo subisce quella notevole deriva semantica mentre il secondo
mantiene il suo significato originario? Se ipotizziamo che _morphé_ sia da
associare alla forma posseduta dall'oggetto, mentre _eidos_ sia la forma
vista dall'osservatore (quella presente "nell'occhio di chi guarda", e come
tale passibile di astrazione), disponiamo di qualche testo che possa
confermare questa ipotesi, ovvero che faccia uso di entrambi i termini,
impiegando _eidos_ con una accezione "soggettiva" e _morphé_ con una
accezione "oggettiva"?
Beh, anch'io, *pochi giorni fa*, mi ponevo questa *stessa* domanda (ci
stiamo "contaminando" a vicenda: da capire chi è che ci guadagna;-)). Solo
che non mi trovo in un periodo "buono" per le riflessioni (e le ricerche)
in profondità. Quel che mi è venuto in mente nel poco tempo che ho
dedicato a questa riflessione glossologico-semantica, è che _morphè_
potrebbe non designare qualcosa di *immutabile*. Qualcosa di *immutabile*,
invece, designa _eidos_ - vedi l'uso platonico del termine (la cosa
"immuabile", ovviamente, è il "significato"). Dunque andrebbe in un certo
senso rovesciato quello che dici. L'universo semantico nominato da _eidos_
attiene al dominio dell'"oggettivo". *Proprio* perchè _eidos_ ha a che
fare con il guardare (l"astrazione" cui fai riferimento). In sintesi:
_eidos_ ha *potuto* essere usata nel senso in cui l'ha usato Platone. A
questa possibilità semantica, invece, si è sottratto _morphè_.

Ora però mi viene in mente che Severino potrebbe aver trattato questo
argomento in una sezione di un suo testo teoretico. Dammi un po' di tempo
e ti farò sapere.

Estremamente interessanti le domande che fai. Strano che non ti abbia
ancora risposto nessuno...

Un saluto,

Marco
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Marco V.
2005-10-25 11:44:48 UTC
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Post by Marco V.
[...]
Ora però mi viene in mente che Severino potrebbe aver trattato questo
argomento in una sezione di un suo testo teoretico. Dammi un po' di tempo
e ti farò sapere.
Sì, ricordavo bene: Severino ha approfondito questa mia supposizione. L'ha
approfondita (o per meglio dire: accennata; ma poi vedrai che è qualcosa
di più di un cenno) nell'ambito della costruzione (contenuta in "Destino
della Necessità", Adelphi, 1a ed. 1980, 2a ed. 1999) di una *ipotesi*
linguistico-glossolica. Sarò schematico ma, fin dove potrò, esauriente.

1. Come sai, per Severino lo sviluppo storico dell'Occidente è dominato
dalla contrapposizione tra la non-dominabilità delle cose e la loro
dominabilità. In soldoni: la dimensione divina da una parte, e la Tecnica
dell'uomo dall'altra. Questa faccenda è ovviamente connessa a quella,
famigerata, del "divenire", perchè se non è affatto vero che non possa
esserci *avvertimento* della non-dominabilità del diveniente (ad esempio:
del mare in preda ad una tempesta io avverto che è dominato da un
divenire, rispetto al quale, però, avverto la mia impotenza: cioè la non
padroneggiabilità, da parte mia, di quel divenire), è invece necessario
che il dominabile sia diveniente, o meglio, suscettibile di divenire. Ora,
il modo eminente in cui si presenta il "dominabile" (e dunque, ex
negativo, il non-dominabile) è quello dell'*azione*. E' dominabile, ciò su
cui l'uomo può *agire*. La possibilità che l'uomo agisca, è fatta, a
livello concettuale, in un certo modo (ad esempio: l'agire necessità di un
mezzo e di uno scopo), che Severino designa con l'espressione "struttura
tecnica dell'azione".

2. Ora - e con ciò mi addentro nella questione che può interessarti -
l'ipotesi glottologica costruita da Severino ha a che fare con la
possibilità che la contrapposizione tra il non-dominabile ed il dominabile
(o anche: tra la *coscienza* della non-dominabilità delle cose e la
*coscienza* della loro dominabilità) sia rimasta implicitamente
"testimoniata", a livello glossologico-fonetico, nel sostrato linguistico
della preistoria dell'Occidente: cioè, in alcune strutture fondamentali
delle lingue indoeuropee. Insomma, quella contrapposizione cui la lingua
greca ha dato dignità ontologica (essere, non-essere etc.), sarebbe *già*
implicitamente accaduta negli eventi linguistici *dai quali* è emersa la
lingua fondamentale dell'Occidente (cioè la lingua dei greci). Lasciando
perdere tutte le osservazioni di carattere filosofico che si potrebbero
muovere già qui ("vabbè, è la solita teleologia occidentalista di stampo
hegeliano, che pone l'Occidente come "scopo" dello sviluppo storico
preoccidentale" etc.), vengo, praticamente, al dunque.

3. L'ipotesi glottologica di Severino si fonda su quello che, come lui
stesso dice, è un dato oramai acquisito da parte delle scienze
glottologiche. Lascio parlare Severino:
<<All'interno dell'interpretazione glottologica, è un "fatto" che nella
lingua greca e latina esiste un vasto gruppo di parole che presentano i
seguenti due requisiti:
I) nominano la struttuta tecnica dell'azione;
II) sono costruite o sulla radice _ar_, oppure in modo che la loro
configurazione etimologica immediata è riconducibile a quella radice (o ad
una sua "espansione"), o comunque a una radice costitituita dall'unione di
un fonema vocalico e di una consonante liquida (_ro_, _lambda_, _r_, _l_)>>

4. Che cosa fa Severino? Ora, _ar_ è la radice etimologica sulla quale
sono costruite parole come _ars_ e _artus_: tutte parole che nominano
elementi, o situazioni o significati fondamentali attinenti al regno
dell'"azione". In sostanza Severino *estende* il raggio della radice _ar_,
e riconduce a tale radice quel vasto insieme di parole che, pur non
essendo costruite direttamente sulla radice _ar_, hanno da un punto di
vista fonetico, la caratteristica di rimandare a radici costruite su una
consonante liquida, e da un punto di vista semantico, la caratteristica di
rimandare a significati attinenti al regno dell'"azione", cioè del
dominabile.

5. E' chiaro che Severino, attraverso questa estensione, avrà introdotto
una "radice _ar_" che *non è* *la* radice _ar_ di cui fa "ufficialmente"
uso la glottologia delle lingue indoeuropee. Severino giustifica in vario
modo, in base alle regole glottologiche, l'introduzione di questa radice
_ar_ "estesa" - e cerca di mostrare la non vacuità contenutistica della
sua ipotesi fondata sulla introduzione della radice _ar_ "estesa": anzi,
potremmo dire, la *scientificità* della sua ipotesi, nel senso della sua
falsificablità. Ma in sostanza in quadro da lui costruito è il seguente:
<<le radici costruite su una liquida pronunziano più o meno direttamente,
in modo più o meno specifico, il senso fondamentale dell'_ars_; menre
all'interno delle radici che *non* sono costruite in questo modo, e cioè
soprattutto nelle radici costruite su una spirante o su una occlusiva, è
rintracciabile la maggior parte dei fonemi esprimenti ciò che il mortale
sente come inflessibile e non dominabile (da lui stesso o dagli dèi) e le
conseguenze di questo senso di impotenza>>.

6. Tornando a quella contrapposizione tra non-dominabile ("inflessibile")
e dominabile ("flessibile"), Severino, come dicevo, ipotizza che essa sia
rimasta "testimoniata" o meglio ancora: *rispecchiato* - nelle strutture
fondamentali delle lingue indoeuropee. In che modo? Ora è chiaro. Come
contrapposizione tra il <<timbro dell'inflessibile>> (cioè l'insieme di
quelle radici costruite prevalentemente su una spirante o una occlusiva, e
che nominano significati attinenti alla sfera del non-dominabile) e il
<<timbro del flessibile>> (cioè l'insieme di quelle radici costruite su
una liquida e che nominano significati attinenti alla sfera dell'agire).

7. Uno dei modi eminenti in cui tale ipotesi può essere al contempo
corroborata e sfruttata è dato da quelle parole che, pur essendo fondate
le une su radici costruite su una consonante liquida e le altre su radici
costruite su una consonante occlusiva o spirante, *rimandano allo "stesso"
significato*. Qui l'ipotesi di Severino si specifica necessariamente come
segue: <<ciò che per le scienze linguistiche è "la stessa cosa" nominata
da due parole diverse, non è la stessa cosa, ma è, da un lato, la cosa in
quanto è vista dapprima, nello sguardo del mortale, come appartenente al
corpo dell'inflessibile, e dall'altro altro, è la cosa in quanto, poi, è
vista come un flessibile>>. Non dobbiamo sfarci sfuggire, allora, il senso
di questa correlazione <<prima...poi>>. Severino infatti ipotizza
arditamente che quella contrapposizione rispecchiatasi nella struttura
fonetica della lingua, sia sia svolta come una progressiva dominazione,
*in* quella parte "sensibile" della lingua che è costituita dai fonemi,
del "timbro del flessibile" sul "timbro dell'inflessibile". E questa
dominazione *diacronica* si spingerebbe fino al punto che <<le parole di
questo timbro [del timbro dell'inflessibile] vengono progressivamente ad
assumere il significato delle parole del timbro della flessione>>. (e
l'ipotesi di questa dominazione diacronica gli consente di non considerare
come eccezioni alla sua ipotesi glottologica, quel gruppo di parole che
indicano sì aspetti del "flessibile", ma *non* sono glottologicamente
ricollegabili a radici costruite su una liquida).

8. Essendo questa l'ipotesi, Severino prova a corroborarla mediante la
considerazione di un *vastissimo* insieme di parole della lingua greca e
latina e delle loro radici etimologiche. E si imbatte sia in _morphé_ che
in _eidos_.

8.1 Quanto a _morphè_: <<anche la _f-or-ma_ (_morphé, _t-ro-pos; sanscr.
_ak-r(o)_tis [con _r(o)_ intendo r con o sottoscritto], antico irlandese
_c-ru-th_) è avvertita come la disponibilità e la predisposizione della
_res_ all'_ars_>>.

8.2 Quanto a _eidos_: <<L'apparire e lo splendore intoccabili sono
pronunciati con il timbro dell'inflessibile anche nelle radici _dei-e*
[con _e*_ indico la e capovolta, cioè la e muta] (sanscr. _dì-de-ti_,
"appare", "splende", _de-ato_=edòkei_=_videbatur_ [dove queste ultime tre
parole appartengono rispettivamente al greco, al greco, al latino]; _deik_
(_deiknymi_, _dic-o_ [greco, latino])...>>. E infine: <<_u*eid [dove u*
indica la semivocale corrispondente al v latino] (sanscr. _ vét-i_, "sa",
_eidon_, _oida_, _vid-eo_ [latino, latino, greco]>>.

Questo è quanto volevo dirti. In sostanza, in _eidos_, e non in _morphé_,
sarebbe originariamente nominato il senso immutabile dell'apparire - il
senso cioè attinente al fatto che la "cosa" si mostra con una determinata
forma, che è "ciò che" la cosa stessa è, indipendentemente dalla volontà
di agire degli uomini. _eidos_ è la forma della "cosa" in quanto essa si
im-pone allo sguardo, e come tale non può divenire oggetto di un "arte",
cioè di una tecnica di trasformazione. In Platone, poi, questa
impossibilità assume valenza ontologica - nel senso che _eidos_ denota il
"significato": questo muro è "bianco" e può cessare di esserlo, ma il
"bianco in quanto tale" non può cessare di essere "bianco". *Però* -
azzarderei - io non ho potenza sul *mostrarsi* di questo muro bianco come
bianco. Posso farlo divenire di qualsiasi altro colore, ma questa mia
"potenza" non è la potenza sul *mostrarsi*. _eidos_ dovrebbe appunto
nominare la non-potenza degli uomini su quella forma della "cosa" che è il
manifestarsi stesso della cosa per ciò che essa è.
Questa valenza semantica di _eidos_ è in grado di "spiegare" anche il
perchè _eidos_ sia passato a denominare l'"universale", come tu dicevi nel
punto b) del tuo post.

Quanto al punto 4) del tuo post, l'*ipotesi* glottologica che ho
tratteggiato sopra, è ampiamente sfruttabile. Il "calco linguistico" di
cui parli consisterebbe in quella contrapposazione, interna alle lingue
indoeuropee, tra le radici costruite su una labiale e le radici che non
presentano tale costruzione.

Come precisazione ovvia ma inderogabile, l'ipotesi glottologica di
Severino *non* so di quale "apprezzamento" goda negli ambienti della
glottologia accademica (probabilmente scarso o nullo). Non solo quanto
alla sua "scientificità" (che è innanzitutto la sua "controllabilità"), ma
anche in relazione ai nuovi studi linguistici che sono stati fatti in
questi ultimi 25 anni. Tuttavia, direi che come "ipotesi di lavoro" è
piuttosto interessante. Se assumiamo che:

a_ la *prima* cosa che ha affaccendato - e affaccenda - gli uomini nel
corso della loro storia plurimillenaria, è la *sopravvivenza sulla terra*.

b_ la sopravvivenza sulla terra ha la "tecnica", nel senso più ampio del
termine, come suo aspetto fondamentale. E la "tecnica", a sua volta,
rimanda in modo essenziale alla trasformabilità delle cose, e
all'*avvertimento* della trasformabilità delle cose.

c_ la *lingua* parlata dagli uomini *può* riflettere - quanto al suo
mutamento diacronico e quanto alle strutture che a vari livelli la
costituiscono sincronicamente - i "fatti" di cui l'uomo ha percezione e
addirittura quelli di cui non ha percezione. (pensa ad esempio all'ipotesi
di Cavalli Sforza sulla origine delle lingue indoeuropee; ma tu di queste
cose te ne intendi;-)).

ne segue per lo meno che l'ipotesi linguistico-glottologica di Severino
poggia su una assunzione di base relativamente "scientifica".
E tanto altro ci sarebbe da dire, ma è meglio che mi fermi qui.

Un saluto,

Marco
--
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Davide Pioggia
2005-10-25 19:00:45 UTC
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Post by Marco V.
Sì, ricordavo bene: Severino ha approfondito questa mia supposizione.
Grazie: hai risposto a gran parte delle domande che mi ponevo!

Molto interessante l'idea di Severino secondo la quale nei confronti di un
oggetto ci si può porre secondo un atteggiamento "passivo" o "attivo".
Il primo lo intendo come teso ad accettare lo stato delle cose, mentre il
secondo come teso ad intervenire su di esso al fine di modificarlo. Immagino
però che questa mia "rilettura" non ti entusiasmi :-) e che tu preferisca
seguire Severino nell'affermare che quella che io chiamo "posizione passiva"
sia in realtà una capacità di accogliere le cose "per quello che sono",
senza voler soprapporre a quella loro condizione la nostra volontà, ovvero
ciò che noi vogliamo che siano. Vedi bene che già a questo punto ne avremmo
abbastanza per "buttarla in politica" :-), ma non mi pare il caso di
molestare i nostri gentili ospiti con le nostre infinite schermaglie
politico-filosofiche, ché non se lo meritano :-)

Al limite, se proprio vogliamo provare ad approfondire un poco la questione,
potremmo porci la seguente domanda: quando un autore greco parla di _morphé_
si sta riferendo a qualcosa che sarebbe quello che è anche quando non ci
fosse nessun uomo ad osservarla? Per intenderci, se dovessimo parlare della
forma che aveva la nostra galassia qualche miliardo di anni fa, useremmo
_morphé_? E potremmo usare _eidos_? Da quel che ho capito dovremmo usare
_morphé_ e non potremmo usare _eidos_, ed è questa la ragione per cui
associavo la "oggettività" a _morphé_ e la "soggettività" a _eidos_.

(D'altra parte tu sai bene che secondo il mio punto di vista filosofico non
si può dire che esisteva qualcosa "quando non c'era nessuno", sicché
rispetto a questa posizione "fondamentalista" :-) non avrebbe senso parlare
della forma che aveva la nostra galassia alcuni miliardi di anni fa. Però -
sempre per avere un minimo di rispetto per i nostri pazienti ospiti - direi
di lasciar perdere anche questa faccenda qua, e di "fare a capirci".)
Post by Marco V.
2. Ora - e con ciò mi addentro nella questione che può interessarti -
l'ipotesi glottologica costruita da Severino ha a che fare con la
possibilità che la contrapposizione tra il non-dominabile ed il dominabile
(o anche: tra la *coscienza* della non-dominabilità delle cose e la
*coscienza* della loro dominabilità) sia rimasta implicitamente
"testimoniata", a livello glossologico-fonetico, nel sostrato linguistico
della preistoria dell'Occidente: cioè, in alcune strutture fondamentali
delle lingue indoeuropee.
Segue una spiegazione chiarissima della ipotesi di Severino, che - come dici
tu - mi sembra "scientifica", in quando "falsificabile".

Vediamo se a qualche lettore di questo ng viene in mente qualche esempio che
possa suffragare quella ipotesi, o se invece si possa trovare qualche
controesempio notevole che ci metta una pietra sopra.

Per quel che mi riguarda, non ho la cultura necessaria per avventurarmi in
una simile impresa. Tuttavia, se ti va di fare ancora un po' di fatica,
potresti indicarmi qualche testo chiave della bibliografia di Severino, così
tenterei di "farmi una cultura" per conto mio :-)
Post by Marco V.
8. Essendo questa l'ipotesi, Severino prova a corroborarla mediante la
considerazione di un *vastissimo* insieme di parole della lingua greca e
latina e delle loro radici etimologiche. E si imbatte sia in _morphé_ che
in _eidos_.
Bene.
Post by Marco V.
E infine: <<_u*eid [dove u*
indica la semivocale corrispondente al v latino] (sanscr. _ vét-i_, "sa",
_eidon_, _oida_, _vid-eo_ [latino, latino, greco]>>.
Ecco, qui rispondi alla mia domanda circa la radice indoeuropea di _eid-_.
Ora che me lo hai detto mi pare evidente, ma devo ammettere che da solo non
ci ero arrivato ad associare _eid-os_ a _vid-eo_, perché non avevo pensato
alla semiconsonante. Comunque, ora che mi hai dato l'imbeccata, ho trovato
qualcosa di più:

http://www.yourdictionary.com/ahd/roots/zzw01100.html

Vedo che praticamente fra i derivati di quella radice c'è dentro un mezzo
vocabolario :-)
Post by Marco V.
Questo è quanto volevo dirti. In sostanza, in _eidos_, e non in _morphé_,
sarebbe originariamente nominato il senso immutabile dell'apparire - il
senso cioè attinente al fatto che la "cosa" si mostra con una determinata
forma, che è "ciò che" la cosa stessa è, indipendentemente dalla volontà
di agire degli uomini.
Sì, credo di aver colto il tuo punto di vista. Ma lasciami ragionare ancora
un po' sulla questione della "soggettività" e sulla possibilità che
l'"astrazione" sia legata a questo elemento.

Grazie ancora per il prezioso aiuto.
--
Saluti.
D.
Davide Pioggia
2005-10-25 19:47:35 UTC
Permalink
[...]
Anche questo mi sembra interessante:

http://www.bartleby.com/61/roots/IE556.html
--
Saluti.
D.
Marco V.
2005-10-25 21:17:31 UTC
Permalink
Molto interessante l'idea di Severino secondo la quale nei confronti di >un
oggetto ci si può porre secondo un atteggiamento "passivo" o "attivo".
Il primo lo intendo come teso ad accettare lo stato delle cose, mentre il
secondo come teso ad intervenire su di esso al fine di modificarlo. >Immagino
però che questa mia "rilettura" non ti entusiasmi :-) e che tu preferisca
seguire Severino nell'affermare che quella che io chiamo "posizione passiva"
sia in realtà una capacità di accogliere le cose "per quello che sono",
E' come dici. Dovremmo tediare i nostri ospiti, e non se lo meritano!:-).
Capacità di accogliere le cose per quello che sono: dovremmo parlare della
faccenda della fenomenologia, e, soprattutto, della questione del
"raschiare", come dice un mio amico;-): dove si ferma il raschiare? No,
no, non se la meritano, una discussione del genere! Ma a livello di
interpretazione dell'Occidente, il modo in cui tu intendi la faccenda può
starmi bene.
Al limite, se proprio vogliamo provare ad approfondire un poco la questione,
potremmo porci la seguente domanda: quando un autore greco parla di _morphé_
si sta riferendo a qualcosa che sarebbe quello che è anche quando non ci
fosse nessun uomo ad osservarla? Per intenderci, se dovessimo parlare >della
forma che aveva la nostra galassia qualche miliardo di anni fa, useremmo
_morphé_? E potremmo usare _eidos_? Da quel che ho capito dovremmo usare
_morphé_ e non potremmo usare _eidos_, ed è questa la ragione per cui
associavo la "oggettività" a _morphé_ e la "soggettività" a _eidos_.
Certo, c'è il problema cui fai riferimento tra parentesi. Tuttavia sarei
tentato di aggirarlo, sfruttando una fondamentale osservazione di
Aristotele, che non fa altro che condensare il sostanziale *realismo*
gnoseologico dei greci, secondo la quale *ciò che* la "teoria" riesce a
scorgere e a dire, esiste ed è vero anche quando non è oggetto di attività
intellettiva da parte dell'uomo empirico. Se questo "ciò" lo facciamo
coincidere con l'_eidos_, direi che dobbiamo rispondere in modo contrario
a come rispondi tu. _eidos_ è in sostanza associato, già nella lingua
greca, alla soggettività *trascendentale* (inutile che citi Husserl etc.)
[Ma anche qui, ci sarebbe molto da discutere. Anche in relazione
all'interpretazione glossologica di Severino, perchè _theoria_ è parola
"fondata", almeno in parte, su una radice costruita su una liquida (credo
che lo stesso Severino prenda in considerazione la parola _theoria_; lo fa
sicuramemte con il verbo greco_orao_, che è "implicato" in _the-or-ia_)].

Ovviamente, però, così non avremmo risposto in tutto e per tutto alla tua
domanda, che non assume come premessa la _theoria_.... Mmmmhh...ribadisco,
_eidos_ è, in quanto oggetto della _theoria_, ciò che "sarebbe quello che
è anche quando non ci fosse nessun uomo ad osservarlo". Se questa è una
*identità*, allora _morphè_ non può stare per questo "ciò".

Tu dici, se ho capito bene: siccome non c'è "apparire" (infatti stiamo
premettendo che non c'è "nessuno" ad osservare), allora non può esserci
_eidos_ ma deve esserci _morphè_ Tuttavia:

1. Se non c'è "nessuno", non c'è nessuno neanche in relazione al soggetto
dell'avvertimento della "dominabilità".

2. Per il realismo dei greci, _eidos_ c'è *anche* quando non c'è
"nessuno", proprio perchè _eidos_ è - o meglio: ha nella sua radice la
capacità semantica di indicare - ciò che la cosa è. ***Proprio*** per
questa ragione _eidos_ denomima l'"immutabile": se "togli" l'uomo, esso
rimane, cioè non dipende dalla presenza dell'apparato cognitivo umano.

In sostanza, rispetto alla contrapposizione _eidos_/_morphé_, nella tua
domanda sembrano mescolate due domande distinte. Alla prima che poni si
deve rispondere che "quello che è anche quando non ci fosse nessun uomo ad
osservarla" è nominato da _eidos_. Alla seconda domanda, invece,
sembrerebbe invece doversi rispondere positivamente, dicendo che si
dovrebbe usare _morphpè_. Questo, perchè nella prima domanda si fa
allusione - mediante quel "anche" - ad un "rimanere uguale". Nella
seconda, invece, si parte direttamente prendendo in considerazione una
"cosa" che esiste separatamente dalla coscienza dell'uomo (ad esempio:
"quando gli uomini non c'erano").
Vediamo se a qualche lettore di questo ng viene in mente qualche esempio >che
possa suffragare quella ipotesi, o se invece si possa trovare qualche
controesempio notevole che ci metta una pietra sopra.
Sarebbe ***molto*** interessante se intervenisse un lettore capace, grosso
modo, di delinearci il "credito" di cui l'ipotesi che ho esposto gode
negli ambienti della linguistica e della glossologia storica. Ma ho come
l'impressione di conoscere già la risposta:-).
Per quel che mi riguarda, non ho la cultura necessaria per avventurarmi >in
una simile impresa. Tuttavia, se ti va di fare ancora un po' di fatica,
potresti indicarmi qualche testo chiave della bibliografia di Severino, così
tenterei di "farmi una cultura" per conto mio :-).
Nemmeno io ho quella cultura, figuriamoci. Si tratta di studi
approfonditi, che si dovrebbero fare - e soprattutto, occorrerebbe stare
continuamente "al passo coi tempi". Sarà per la prossima vita:-).

Quanto alla bibliografia usata da Severino, sono citati tre autori e due
opere:

- ***A. Walde***, del quale Severino ricorda il fondamentale
***Vergleichendes Woertbuch der indogermanischen Sprachen*** (1927-1932).
Severino dice, quanto a quest'opera, che <<il rigore del maggior lessico
comparativo delle lingue indoeuropee... è variamente discusso dai
linguisti, soprattutto per la tendenza ad unificare sotto un'unica radice
varie forme linguistiche, senza un'adeguata giustificazione... >>. Il
punto è che - temo - ciò che la glottologia ufficiale può rimproverare
all'ipotesi di Severino è precisamente questa "tendenza ad unificare..."
(stante la faccenda della "radice _ar_" di cui ti ho già detto).

- Proprio perchè il rigore di quel testo suddetto è discutibile perchè
discusso, Severino dice di aver usato come lessico comparativo il
"Dizionario comparativo" incluso nella ***Crestomazia Indoeuropea*** di
***Vittore Pisani*** (1947) [ma deve trattarsi di una seconda edizione,
perchè so per certo che ne esiste una del 1941; il libro ha comunque avuto
una edizione anche nel 1974].

- A proposito della questione della stratificazione lessicale delle lingue
indoeuropee, viene citata l'interpretazione - credo piuttosto importante -
data da C.C. Uhlenbeck (il quale interpreta quella stratificazione come
<<dualità di parole "descrittive" e parole "denominative").
Ecco, qui rispondi alla mia domanda circa la radice indoeuropea di _eid->_.
Ora che me lo hai detto mi pare evidente, ma devo ammettere che da solo >non
ci ero arrivato ad associare _eid-os_ a _vid-eo_,
Io questo lo ricordavo dai tempi del liceo classico;-). Ma l'avrei
collegata alla questione del _digamma_.
http://www.yourdictionary.com/ahd/roots/zzw01100.html
Vedo che praticamente fra i derivati di quella radice c'è dentro un mezzo
vocabolario :-).
Posso immaginare! Dò volentieri una occhiata ai due siti che hai linkato.
Sì, credo di aver colto il tuo punto di vista. Ma lasciami ragionare ancora
un po' sulla questione della "soggettività" e sulla possibilità che
l'"astrazione" sia legata a questo elemento.
Grazie ancora per il prezioso aiuto.
Ti lascio ragionare, allora. E grazie a te per le tue "facili" domande;-).

Un saluto,

Marco
--
questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad ***@newsland.it
Davide Pioggia
2005-10-27 03:27:27 UTC
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Post by Marco V.
2. Per il realismo dei greci, _eidos_ c'è *anche* quando non c'è
"nessuno", proprio perchè _eidos_ è - o meglio: ha nella sua radice la
capacità semantica di indicare - ciò che la cosa è. ***Proprio*** per
questa ragione _eidos_ denomima l'"immutabile": se "togli" l'uomo, esso
rimane, cioè non dipende dalla presenza dell'apparato cognitivo umano.
Se fosse come dici tu, allora la concezione dell'_eidos_ come la "realtà
vera" delle cose sarebbe presente in tutta la cultura greca, sicché Platone
ed Aristotele non farebbero altro che dare voce a quella concezione. Ne
sarebbero, per così dire, i "cantori", senza avere un ruolo fondante nella
elaborazione di quella concezione del mondo.

In tal caso però dovremmo trovare tracce evidenti di "platonismo" o
"aristotelismo" in tutta la cultura greca, eventualmente "ante litteram",
già a partire dai miti di fondazione di quella civiltà. Che tu sappia, sono
note queste tracce?

Ma poi, visto che stiamo lavorando sulle radici di tutte le lingue europee,
non basterebbe trovare quelle tracce nella cultura greca, ma dovremmo
estendere il discorso. Una cosa che mi ha colpito particolarmente è che
dalla radice _*weid-_ derivi anche il termine sanscrito _Veda_, che
significa sostanzialmente Conoscenza (metto la maiuscola, perché i _Veda_ si
pongono proprio come le Scritture della Conoscenza). Vedi dunque che anche
in una cultura così lontana da quella greca si pone lo stesso "problema".
Non dimentichiamo, inoltre, che ancora non siamo riusciti a chiarire se il
parallelo che ho delineato fra il greco ed il latino sia un "calco" o se
invece esprima qualcosa di più sostanziale.

In altri termini, a seguire questi ragionamenti (e pure i suggerimenti di
Severino) si ha quasi l'impressione che la domanda che si sono posti
esplicitamente Platone ed Aristotele (ovvero, in soldoni: «Cos'è quella cosa
che ci fa dire che tutti i cavalli sono la "stessa cosa" benché non ci sia
un cavallo uguale ad un altro? Cos'è che fa di un cavallo ciò che è?») e la
risposta che essi hanno dato a quella domanda (ovvero, sempre in soldoni:
«Ciò che fa di tutti i cavalli la "stessa cosa" è il loro _eidos_, la loro
"forma specifica", e solo chi ha colto l'_eidos_ del cavallo può dire di
*sapere* che cosa è un cavallo») abbia profondamente percorso tutta la
cultura indoeuropea (e dico indoeuropea solo perché non so nulla delle
altre: chissà cosa salterebbe fuori andando a scartabellare fra le radici
semitiche, eccetera).

Dunque, dicevo, quali tracce ha lasciato il fatto che tutto il pensiero
"astratto" delle culture indoeuropee (e magari pure di altre) abbia questo
fondamento?

Per cercare di rispondere a questa domanda potremmo recuperare la
contrapposizione fra _eidos_ e _morphé_. Abbiamo detto che il primo termine
esprime quelle proprietà di un cavallo che fanno di esso un cavallo, quelle
proprietà che sono le stesse per tutti i cavalli, benché ogni cavallo abbia
una forma diversa. Ma allora, se ogni cavallo ha una forma diversa
nonostante ogni cavallo abbia lo stesso _eidos_, questa forma che cambia da
cavallo a cavallo non è forse la _morphé_? Se un cavallo ha la schiena
diversa da un altro, sicché la sella che va bene per uno non va bene per
l'altro e la dobbiamo adattare, quella forma diversa che ci costringe ad
adattare la sella, non è quella la _morphé_ di quel singolo cavallo?

Riformulo dunque la domanda: lo troviamo da qualche parte un testo greco in
cui si parli sia dell'_eidos_ sia della _morphé_ di un oggetto, per vedere
se la seconda è quella cosa "concreta" :-) a cui bisogna adattare di volta
in volta le selle, le staffe, gli abiti o i mobili?

-=O=-

Vediamo ora il punto successivo di questo ragionamento (ammesso che ciò che
sto scrivendo sia in qualche modo "ragionevole" :-) )

Una volta che ci si sia posti quella domanda e si sia data quella risposta,
si pone un altro problema, che è quello di stabilire se l'_eidos_ del
cavallo abbia una sua esistenza autonoma, ovvero, per così dire, se esso
continuerebbe ad esistere anche il giorno in cui i cavalli dovessero
malauguratamente estinguersi. In altri termini, l'_eidos_ del cavallo
è "trascendente" o "immanente"?

Si potrebbe essere tentati di dire che è poco plausibile ipotizzare che da
qualche parte ci siano le "forme specifiche in sé". Tuttavia se neghiamo che
quelle "forme specifiche" abbiano una esistenza autonoma si potrebbe
concludere che allora il giorno in cui non ci fosse più nessun cavallo non
esisterà più nemmeno l'_eidos_ del cavallo, e dunque nessuno potrà più
attribuire un significato alla parola "cavallo", poiché nominando quella
parola si starebbe parlando di qualcosa che non esiste. Ma allora come
facciamo oggi a parlare del Tirannosauro?

Sappiamo come va a finire questa faccenda: Platone si butta da una parte e
Aristotele si butta dall'altra, ponendo così una contrapposizione che durerà
per ventiquattro secoli e passa. Di conseguenza ci ritroviamo con due tipi
di _eidos_: uno "trascendente" ed uno "immanente", il primo "platonico" ed
il secondo "aristotelico".

A questo punto non siamo più, ovviamente, alla ricerca di "tracce ante
litteram", perché ormai i "cantori" sono arrivati e la faccenda è stata
esplicitata: il fiume sotteranneo (ammesso che esista) è venuto in
superficie, e ci parla con le parole dei due filosofi. Qui semmai il
problema è "post litteram", e riguarda le traduzioni che si sono fatte dei
testi dei due greci.

Prima di andare avanti torno su un punto che avevo lasciato implicito poco
fa, quando dicevo che chi sa "che cosa è" un cavallo è colui che conosce
l'_eidos_ comune a tutti i cavalli. Ma qui sorge un dubbio: che cosa c'è
nell'intelletto di chi conosce l'_eidos_? Forse l'_eidos_ stesso?

Se andiamo a vedere l'etimologia di _Veda_ si potrebbe essere tentati di
dire di sì, però - da quanto mi risulta - per i greci le cose non stavano
così, poiché la cosa che sta nell'intelletto è un "concetto", e sul mio
Liddell-Scott fra i tanti termini con cui vengono resi _eidos_ e _idea_
"concetto" non c'è, né ci sono altri termini che facciano riferimento ad un
contenuto mentale. Piuttosto se vogliamo rendere "concetto" direi che
dobbiamo utilizzare _logos_.

Dunque, ricapitolando:
a) tutti i cavalli hanno un medesimo _eidos_ che fa di loro quello che sono
e fa di loro la "stessa cosa" benché non ce ne sia uno uguale ad un
altro;
b) a quell'_eidos_ corrisponde un contenuto mentale che è un _logos_, una
parola, o meglio il "concetto" corrispondente alla parola.

Ma da dove viene questo _logos_? Come fa l'intelletto a produrre il _logos_
a partire dall'_eidos_, che è un oggetto esterno all'intelletto? Qui è
chiaro che la risposta sarà diversa a seconda che si consideri l'_eidos_
"trascendente" o "immanente". Nel primo caso bisogna che l'intelletto umano
abbia (avuto) un qualche "contatto" col "luogo" in cui esiste l'_eidos_,
mentre nel secondo caso l'intelletto dovrà "estrarre" (o meglio "astrarre")
il _logos_ dalle "sostanze", dai cavalli in carne ed ossa.

Abbiamo quindi tre termini da rendere:
1) _eidos_ o _idéa_ di Platone = forma specifica "trascendente"
2) _eidos_ di Aristotele = forma specifica "immanente"
3) _logos_ = concetto

Che ne è di questi termini nella tradizione occidentale?

Oggi comunemente si usa "idea" per esprimere il "concetto", cioè un
contenuto mentale. Questo uso di "idea" intesa come "concetto", per quanto
ne so, risale a Cartesio, il quale poi ha diffuso questa ambiguità in tutta
la cultura europea. E' evidente dunque che quando si parla delle "idee di
Platone" bisognerebbe avvertire che quelle "idee" non sono ciò che
comunemente si intende per "idea". Questa cosa a volte viene detta, ma
secondo me non abbastanza, perché capita spesso di leggere testi che
mantengono una notevole ambiguità. Comunque sia, diciamo che con le
opportune "avvertenze" possiamo rendere il primo ed il terzo di quei termini
con questa infelice terminologia imposta dall'ambiguità di Cartesio e di
coloro che gli sono andati dietro:

1) _eidos_ o _idéa_ di Platone = "idea platonica"
2) _eidos_ di Aristotele = ?
3) _logos_ = "idea" (nel senso comune)

Che ne è del secondo termine?

Su tutti i testi di filosofia che mi sono passati per le mani viene reso
semplicemente come "forma". Ma "forma" è il termine latino corrispondente a
_morphé_, mentre abbiamo visto che probabilmente uno dei punti cruciali per
la comprensione di tutta questa faccenda è proprio la differenza che
intercorre fra l'_eidos_ di Aristotele (cioè la "forma specifica immanente")
e la _morphé_.

Ne consegue che avendo reso il secondo termine con "forma", la domanda che
mi ponevo poco fa non è più esprimibile in italiano (né in tutte le lingue
europee moderne), perché finiremmo a chiederci se esiste una differenza fra
la "forma" e... la "forma"!

Né i filosofi mostrano di preoccuparsi particolarmente della cosa, perché ad
esempio il _Dizionario di Filosofia_ di Abbagnano alla voce "forma" dice che
con questo termine si rendono entrambi i termini greci _morphé_ ed _eidos_,
dopodiché procede ad una trattazione unificata del termine.

Ora, se ciò che a me appare assolutamente cruciale ad altri - ben più
autorevoli di me - pare cosa di poco conto o addirittura trascurabile si
vede che non ho capito tutta la questione, o magari c'è qualcosa che ancora
mi sfugge. Ma cosa?
--
Saluti.
D.
Marco V.
2005-10-27 15:49:08 UTC
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Post by Davide Pioggia
Se fosse come dici tu, allora la concezione dell'_eidos_ come la "realtà
vera" delle cose sarebbe presente in tutta la cultura greca, sicché Platone
ed Aristotele non farebbero altro che dare voce a quella concezione. Ne
sarebbero, per così dire, i "cantori", senza avere un ruolo fondante nella
elaborazione di quella concezione del mondo.
In tal caso però dovremmo trovare tracce evidenti di "platonismo" o
"aristotelismo" in tutta la cultura greca, eventualmente "ante litteram",
già a partire dai miti di fondazione di quella civiltà. Che tu sappia, sono
note queste tracce?
Certo, la tua è una domanda inaggirabile. Io parlavo di una "capacità
semantica" del termine _eidos_ - cioè a dire, in sostanza: non è che
Platone e gli altri si sono, rispetto alla configurazione della lingua dei
greci, inventati di sana pianta associazioni tra termini e significati,
perchè, come sai, nessuno può avere un tale potere sul linguaggio. Ad
esempio - e qui è il solito Severino a darmi una mano - il termine
_episteme_ (costruito sulla radice _sta_, che indica lo _stare_), che in
Platone e poi in Aristotele (per il quale la filosofia è _episteme tes
aletheias_) designa la _scienza_, ha una traccia
eminente già in Eschilo [Agamennone, vv.163-166]: <<non ho che da
rivolgermi a Zeus _con un sapere che sa tutte le cose_ (_pant'
epistathmomenos_), se è necessario cacciare via dalla mente il dolore che
rende folli>>. Severino usa questo verso per giustificare quella sua
interpretazione che pone l'avvertimento della angoscia a fondamento della
filosofia (e tanto l'angoscia quanto il rimedio avrebbero, nella filosofia
greca, quel *nuovo* significato costituito dalla ontologia: l'angoscia
sarebbe angoscia per il nulla che sta prima e dopo il permanere delle cose
nell'essere). Ma a noi quel che interessa, è che un termine quale
_episteme_ ha una sua traccia linguistica già in Eschilo (VI secolo a.C.).
E sappiamo che _episteme_ non è certo disgiunto da _eidos_. E Zeus fa
parte proprio dell'universo mitico di "fondazione".

Ma, ovviamente, una risposta completa alla tua domanda richiederebbe ben
altre indagini testuali.
Post by Davide Pioggia
In altri termini, a seguire questi ragionamenti (e pure i suggerimenti di
Severino) si ha quasi l'impressione che la domanda che si sono posti
esplicitamente Platone ed Aristotele (ovvero, in soldoni: «Cos'è quella cosa
che ci fa dire che tutti i cavalli sono la "stessa cosa" benché non ci sia
un cavallo uguale ad un altro? Cos'è che fa di un cavallo ciò che è?») e la
«Ciò che fa di tutti i cavalli la "stessa cosa" è il loro _eidos_, la loro
"forma specifica", e solo chi ha colto l'_eidos_ del cavallo può dire di
*sapere* che cosa è un cavallo») abbia profondamente percorso tutta la
cultura indoeuropea (e dico indoeuropea solo perché non so nulla delle
altre: chissà cosa salterebbe fuori andando a scartabellare fra le radici
semitiche, eccetera).
Sicuramente in parte è così. Tieni comunque presente - e son cose che ben
sai - che è variamente discutibile come le possibilità essenziali del
"pensiero" dipendano dalla "lingua". E non solo. Di originale - di
radicalmente originale - c'è nei Greci per lo meno la riflessione
ontologica. Noi possiamo immaginare tutta la riflessione filosofica greca
preontologica - diciamo pure i cosiddetti "presocratici", con la notevole,
decisiva eccezione di Parmenide - come una "galassia" concettuale che
poggia su un "imbuto" che conduce alla sistemazione ontologica data da
Platone ed Aristotele. Dopo l'evento di tale sistemazione, "nulla fu più
com'era prima". L'imbuto, possiamo dire, è proprio Parmenide.

Quanto allo scartabellare tra altre radici, ti sarà nota l'opera di
Giovanni Semerano (che è morto pochi mesi fa, quasi centenario). Qualche
volta se ne è parlato sul ng. Costui è convinto, ad esempio, che la parola
_apeiron_ - termine che, come sai, compare per la prima volta nella
letteratura filosofica occidentale in Anassimandro - derivi dall'accadico,
lingua alla quale quale, in sostanza, apparterrebbero le radici
indoeuropee, giacchè il "ceppo indoeuropeo" sarebbe una costruzione
teorica fatta a tavolino dai linguistici del XIX secolo. Insomma, Semerano
ha tentato di dare una "raschiata".
Post by Davide Pioggia
[...]
Ma allora, se ogni cavallo ha una forma diversa
nonostante ogni cavallo abbia lo stesso _eidos_, questa forma che cambia da
cavallo a cavallo non è forse la _morphé_?
Sembrerebbe di sì, o Socrate:-). E ti fornisco sotto un "esempio".
Post by Davide Pioggia
Riformulo dunque la domanda: lo troviamo da qualche parte un testo greco in
cui si parli sia dell'_eidos_ sia della _morphé_ di un oggetto, per vedere
se la seconda è quella cosa "concreta" :-) a cui bisogna adattare di volta
in volta le selle, le staffe, gli abiti o i mobili?
E questa è una buona domanda. Certo che c'è un tale testo. Ad esempio il
Timeo di Platone, che ti invito, casomai non lo avessi già fatto, a
sfogliare. Non solo, in due righe, si dice se non tutto sicuramente
moltissimo sulla relazione tra l'_eidos_ ed il _logos_ (e Aristotele,
ovviamente, approfondirà tale relazione), ma si fa appunto l'uso di
_morphé_ al quale siamo interessati. Procedo per punti, per non
ingarbugliare troppo.

1.
Dunque, Platone, interessato a tracciare una
"costituzione" del cosmo, parla innanzitutto di un "principio" distinto in
due "generi": <<l'uno posto come _forma di esemplare_ (_paradeigmatos
eidos_; tieni presente la radice su cui è costruito _para-deigma_), come
_intellegibile_ (_noetòn_) e come _essere che è sempre allo stesso modo_;
il secondo come _imitazione dell'esemplare_ (_mimema paradeigmatos_), che
ha _generazione_ (_genesin echon_) ed è _visibile_ (_oratòn_; anche qui:
tieni presente la radice)>> [Timeo, 49A, trad. di Giovanni Reale,
Bompiani, 2000].

2.
A questo punto, l'ateniese introduce il "terzo genere": il _ricettacolo_
(_ypodòche_). Dice: <<Quale _potenza_ (_dynamin_) e natura dobbiamo pensare
che abbia [il "terzo genere" richiesto dalla costituzione del cosmo]?
Questa soprattutto: di essere il _ricettacolo di tutto ciò che si genera_
(_pases geneseos ypodochen_) come una nutrice>>.

3.
Insomma, _ypodoche_ è il "ciò in cui": ciò in cui si realizza il sensibile:
_to en o gignetai_. Come la madre, dice l'ateniese.
Tutto ciò illustra bene Platone con il seguente esempio, veramente
lampante:
<<Se qualcuno, dopo aver plasmato con oro tutte le figure, non cessasse di
trasformare ciascuna di esse in tutte le altre figure, quando qualcun
altro, indicandone qualcuna di esse, domandasse _che cosa è_ (_ti pot'
estì_), sarebbe molto più _sicuro rispetto alla verità_ (_pros aletheian
asfalestaton_) dire che è oro; e invece del triangolo e di tutte le altre
figure che in esso si sono prodotte, non bisogna mai _dire che sono_
(_legein tauta os onta_), perchè, mentre si formano, _si mutano_
(_metapiptei_)>>. [Timeo, 50 B]

4.
Insomma, in queste poche righe c'è codificata la soluzione, data dal
pensiero greco, all'ossessione ontologica del divenire. Poi Platone
prosegue, giungendo al punto di nostro interesse: <<Lo stesso ragionamento
vale per la natura che riceve tutti i corpi [cioè per _ypodoche_]. Bisogna
dire che essa è sempre una medesima cosa, perchè essa non esce mai dalla
propria potenza. Infatti essa riceve sempre tutte le cose, e non ha preso
mai in nessun caso e in nessuna maniera _nessuna forma_ (_oudemian morphén_
!!! :-)) simile ad alcuna delle cose che entrano in essa. Infatti per
natura essa sta come materiale da impronta per ogni cosa, mossa e
modellata dalle cose che entrano in essa, e appare per causa di esse ora
in un modo e ora in un altro. E le cose che entrano e che escono sono
_imitazioni delle cose che sono sempre_ (_ton onton aei mimemata_),
improntate da esse,...>>
[Timeo, 50C].

5.
Dunque: le cose che entrano ed escono, che appaiono e scompaiono (dove
_ypodoche_ nomina "ciò in cui" questo apparire-scomparire avviene) non
possono essere tali che _ypodoche_ abbia una _morphé_ simile ad esse. E
perchè non può esserci questa "somiglianza"? Non può esserci, perchè
altrimenti _ypodoche_ non potrebbe accogliere le forme differenti (concetto
ripreso da Aristotele). Avrebbe *una sola* forma, e questa "unità"
renderebbe impossibile quella molteplicità che il ooncetto di _ypodoche_
deve invece rendere possibile.

6.
Ma, affinando questa ovvia risposta, giungiamo a ciò: ciascuna delle
_morphé_ che entrano ed escono da _ypodoche_ *non può* essere la forma di
_ypodoche_, perchè altrimenti tale forma sarebbe l'_eidos_ di _ypodoche_!
Laddove, invece, l_'_eidos_ di _ypodoche_ è precisamente il suo essere
_dynamis_: capacità di accogliere le forme "sensibili" differenti. Ed
infatti, è lo stesso Platone a qualificare ulteriormente _ypodoche_ nel
modo seguente: <<una _specie_ (_eidos_) _invisibile_ (_anoraton_) ed
_amorfa_(_amorfon_), _capace di accogliere tutto_ (_pandechés_;
letteralmente: _che ha tutto_: qui è utile rileggere i significati di
_echein_ illustrati da Aristotele nella Metafisica)

7. Eppure...eppure l'ateniese sembra scompaginare allegramente tutta questa
nostra ricostruzione. Infatti in Timeo 50 D-E non solo dice:

(i) <<dovendo l'impronta _risultare visibile_ (_idein_) in tutte le
svariate varietà, in nessun altro modo quello in cui si realizza
l'impronta sarebbe preparato opportunamente a meno che non fosse _privo
della forma di tutte quante le idee_ (_amorfon... ekeinon apason ton
ideon_) che riceve da qualche parte>>

ma poi aggiunge subito dopo:

(ii)<<In effetti, se questo fosse simile ad alcuna delle _forme_ (vedi
dopo) _che entrano in esso_ (_epeisionton_), quando venissero quelle che
sono di natura contraria e completamente diversa, le riceverebbe e
produrrebbe male, mettendo in mostra il suo aspetto>>.

Qui quel _forme_ di Reale è, nel testo greco, sottinteso. Platone
sottintende quel _ton ideon_ precedente e Reale lo rende genericamente con
"forme"? Assumiamo pure questa ipotesi (ma poi proverò a disfarmene, in
due modi differenti; leggi tutto prima di darmi, eventualmente, una tua
opinione).

E poi:

(iii) <<Pertanto è necessario che sia al di là di tutte le _forme_
(_eidon_), ciò che deve ricevere in sè _tutti i generi_ (_ta
panta...gene_).

8.
Ma è vero scompaginamento?

8.1
Quanto al punto (i), si dice che il ricettacolo deve essere privo della
_morphé_ di tutte quante le _idee_. E' palese - per una ragione collegata a
quello che tu dici alla fine del tuo post - che qui Platone *non* avrebbe
potuto dire "privo dell'_eidos_ di tutte quante le _idee_: sarebbe stato
autocontraddittorio. Le _idee_ "hanno" una _morphé_, nel senso della
"forma" che il ricettacolo, ricevendo le _idee_ (secondo quella relazione
di "partecipazione" etc. che è il problema principale della dottrina
platonica: vedi il dialogo "Parmenide"), ha la capacità di manifestare
sensibilmente.

8.2
Quanto al punto (ii), prima (4.) si era detto che il ricettacolo non prende
_nessuna forma_ (_oudemian morphén_) simile ad alcuna _delle cose che
entrano_ (_ton eisionton; part. pres. costruito su _eis-einai_) in essa.
Adesso si dice che la capacità di "ricezione" del ricettacolo sarebbe
radicalmente compremessa se esso fosse simile ad alcuna delle _forme_ che
entrano in esso - e qui _forma_ è, abbiamo assunto, _idea_; o,
addirittura, è _eidos_, se per "non essere simile a" si intende quel
"essere al di là di" che ho riportato nel punto (iii). C'è contraddizione?
Se proviamo ad identificare le _cose che entrano_ (quelle tali che il
ricettacolo non può assumere nessuna _morphé_ simile ad esse, secondo il
punto 4.) con le _idee_, avremmo che il ricettacolo non può assumere
nessuna _morphé_ simile ad alcuna delle _idee_ _che entrano in esso_
(_epeisinonton_, che ricalca quel _eisionton_ precedente). Grosso modo,
potremmo ricondurci - per risolvere il contrasto - a quanto dicevo nel
punto 8.1, cioè al modo in cui è concesso dire che le _idee_ "hanno" una
_morphé_.

*Ma*, ovviamente, questa mia ipotesi è altamente problematica, perchè se
il _ricevere_ (_dechestai_) è, proprio delle _idee_ (nel senso che le
_idee_ sono ciò da cui si riceve), l'_entrare in_ non è proprio delle
idee, nel senso che le idee non sono ciò che entra *nel ricettacolo*. Ma
la verità, caro Davide, - e questo è il punto centrale - in tutta questa
faccenda complicata, e precisamente nella faccenda della relazione
_ricevere_/_entrare in_, c'è già quella aporia della "trascendenza" che
Aristotele evidenzierà spietatamente con gli strumenti della logica (in
sostanza, con la teoria degli insiemi). *Infatti*, Platone in 50 D
effettuta lui stesso, in meno di una decina di righe, un capovolgimento
della propria dottrina. Infatti dopo aver detto: <<bisogna considerare tre
generi: _ciò che è generato_ (_to gignomenon_), _ciò in cui è generato_
(_to en o gignetai_) e _ciò da cui ricevendo somiglianza_ (_to othen
aphomoioumenon_) si genera ciò che è generato. E _ciò che riceve_ (_to
dechomenon_) conviene paragonarlo alla madre, _ciò da cui riceve_ al
padre (_to othen patrì_; qui "riceve" è sottinteso"), e la natura che è di
mezzo a questi al figlio>>. Ora, questo _ciò da cui riceve_ è il "genere"
delle _idee_. Tre-quattro righe dopo, dice che il ricettacolo _riceve_
(_dechesthai_) le _idee_. Ma allora le idee sono ciò _da cui_ si riceve
somiglianza, oppure _ciò che_ viene ricevuto? Aristotele, appunto, si
volgerà a questo problema, che è problema logico innanzitutto.

Ora proseguo con questa mia elefantiaca analisi testuale. Spero che tu sia
ancora lì a leggermi:-).

8.2.1
Ma tutto questo "imbroglio" (che è comunque collegato al problema
concettuale di fondo: quello della relazione tra le "cose sensibili" e le
"idee"), lo potremmo forse semplificare *in parte* (fermo rimanendo quel
problema di fondo cui facevo riferimento sopra), semplicemente modificando
la traduzione di Reale. Infatti, Reale, al punto 4., traduce _morphén
oudemian pote oudenì ton eisionton omoian_ con _nessuna forma simile ad
alcuna delle cose che entrano in essa_. Al punto 7.(ii), traduce _omoion
on ton epeisionton tinì_ (dove _on_ è il partecipio presente di _einai_,
che concorda al neutro con quel _quello in cui si realizza l'impronta_ che
sta nel punto 7.(i)) con _se questo fosse simile (=essendo simile,
letteralmente) ad alcuna delle forme che entrano in esse_.
Ora, prima avevo riferito questo "forme" usato da Reale al _ton ideon_ di
Platone. Ma in verità, è molto probabile che Reale abbia reso _ton
epesionton_ con _delle forme che entrano in (esso)_ perchè ha sfruttato
quel _amorfon_ immediatamente precedente (vedi 7.(i)). E allora qui, per
Reale, "forme" starebbe per _morphè_. E non solo. Reale aveva tradotto
quel _oudenì ton eisionton_ (punto 4.) con _ad alcuna delle cose che
entrano in (essa)_. E allora anche questo _ ton epeisionton tinì_ può
grammaticalmente essere tradotto con _ad alcuna delle *cose* che entrano
in (esso)_.

8.2.2
Quest'ultima traduzione renderebbe tutto più semplice, rispetto alla
faccenda della relazione _morphé_/_eidos_, _idea_. Se non fosse che dopo
questo _epeisionton tinì_ Platone continua dicendo che (punto 7.(ii)):
<<quando venissero quelle che sono di natura contraria e completamente
diversa, le riceverebbe e le riprodurrebbe male, mettendo in mostra il suo
aspetto>>. E allora sembra che il generico "cose" non si accorderebbe bene
con quel _di natura contraria etc_ ma, soprattutto, con quel _le
riceverebbe e riprodurrebbe male_, che pare esigere, come suo complemento
oggetto, le "forme". Qui, questo _riceverebbe_ ricalca il _dechesthai_
precedente.

8.2.3
Oppure - azzardo - se si vuole mantenere ferma quella che, credo, è la
ragione della traduzione data da Reale nel punto 7.(ii), si potrebbe
rendere quel _morphén oudemian pote oudenì ton eisionton omoian_ di cui al
punto 4. così: _nessuna della forme simile ad alcuna di *quelle* (cioè, le
forme come _morphé_) che entrano in (essa)_.

8.2.4
E qui vengo alla fine, con uno spunto. Qui dovrebbero pronunciarsi i
grecisti di ICC, perchè la questione è piuttosto tecnica (sì, vabbè, me la
cavavo piuttosto bene alle versioni di greco al liceo, ma questo era
"alcuni" anni fa:-)). Reale rende quel _plen amorfon on ekeinon apason ton
ideon osas melloi dechesthai pothen_ (fornisco per esteso l'originale di
cui al punto 7.(i)) con _a meno che non fosse _privo della forma di tutte
quante le idee che riceve da qualche parte>>. Ma mi chiedo: veramente quel
_amorphon_ regge _della forma di tutte quante le idee.. _. Non mi risulta
che _amorphos on_ (lett. _essendo senza forma_) possa reggere un
complemento di privazione. E il Rocci pare confermare questo mio dubbio.
Se così fosse, la tradizione letterale dovrebbe essere come segue: <<a
meno che, essendo privo di forma, non _potesse_ (_melloi_) ricevere tutte
quante le idee da qualche parte>>. Quel _osas_ è l'accusativo femminile
plurale di _osos, e, on_ (_quanto_; concorda evidentemente con
l'accusativo plurale di _idea_). E dunque quel _apason ekeinon ton ideon_
varrebbe come genitivo partitivo.

Dico tutto questo in punta di piedi.
Post by Davide Pioggia
-=O=-
Vediamo ora il punto successivo di questo ragionamento (ammesso che ciò che
sto scrivendo sia in qualche modo "ragionevole" :-) )
[...]
Sappiamo come va a finire questa faccenda: Platone si butta da una parte e
Aristotele si butta dall'altra, ponendo così una contrapposizione che durerà
per ventiquattro secoli e passa. Di conseguenza ci ritroviamo con due tipi
di _eidos_: uno "trascendente" ed uno "immanente", il primo "platonico" ed
il secondo "aristotelico".
Certo. Per lo stagirira l'individuo sensibile, empirico - ciò che Platone
chiama la "copia" di un "modello" eterno - è "sinolo" di materia e forma. E
con "sinolo" (e poi con la teoria della predicazione) lo stagirita risponde
a quel problema cui l'ateniese aveva risposto mediante la dottrina della
"partecipazione". Ma queste due tipizzazioni di _eidos_ sono poggiate
entrambe su un unico sfondo ontologico.

Termino, qui, per ora, una fin troppo lunga risposta. Un solo spunto qui
Post by Davide Pioggia
1) _eidos_ o _idéa_ di Platone = "idea platonica"
2) _eidos_ di Aristotele = ?
3) _logos_ = "idea" (nel senso comune)
Che ne è del secondo termine?
L'_eidos_ è, ancora, per Aristotele, strettamente congiunto all'"essenza"
(e da ultimo a quel significato "primo" dell'essere che è _ousia_: la
_sostanza_), che nel greco dello stagirita suona come _to ti en einai_
(gli scolastici lo resero fedelmente con _quod quid erat esse_). E
l'"essenza" viene fornita dalla "definizione". Prendi due passaggi del
libro Z della Metafisica, dedicato alla _sostanza_:

<<_La definizione della essenza di una cosa_ (_o logos tou ti en einai_) è
solamente quella che esprime la cosa, senza includerla nella definizione
stessa>> [1029b 19-20]

<<L'essenza c'è solamente di quelle cose la cui _nozione_ (_logos_) è una
_definizione_ (_orismòs_). [1030a 6-7].
Post by Davide Pioggia
Su tutti i testi di filosofia che mi sono passati per le mani viene reso
semplicemente come "forma". Ma "forma" è il termine latino corrispondente a
_morphé_, mentre abbiamo visto che probabilmente uno dei punti cruciali per
la comprensione di tutta questa faccenda è proprio la differenza che
intercorre fra l'_eidos_ di Aristotele (cioè la "forma specifica immanente")
e la _morphé_.
Sì, certo. Credo di aver capito il tuo dubbio. Se Aristotele fa scendere
_eidos_ dal regno dei cieli sulla terra, in che cosa _eidos_ riesce ancora
a differenziarsi da _morphé_? Ma secondo me la risposta sta nel fatto che
ad accogliere _eidos_ sulla terra è l'"essenza", che _logos_, quando si fa
_orismòs_, è in grado di *dire*. Così, se io vado dal barbiere a tagliarmi
i capelli (cosa che dovrò fare al più presto), muto certamente una
"forma", ma non l'essenza. Ma poi, non stanno gli empiristi logici a
ricordarci un giorno sì e pure l'altro, che quello di Aristotele è ancora
"essenzialismo", e che dunque lo stagirita aveva ancora lo sguardo rivolto
verso le "stelle"?:-) (dicono loro...)

Ma poi, se dai una occhiata, ad esempio, a Z 1029a, ti accorgi che c'è un
bell'intreccio tra _morphé_ ed _eidos_... Magari ne riparliamo.

Un saluto (perdonami sviste varie, perchè non ho il tempo per rileggere il
tutto),

Marco
--
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Davide Pioggia
2005-10-28 17:48:01 UTC
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Post by Marco V.
Certo, la tua è una domanda inaggirabile.
Ti ringrazio per la "faticaccia" che ti sei fatto per cercare di darmi una
mano, e mi prendo un po' di tempo per riflettere sulla parte più "corposa"
di ciò che hai illustrato. Mi limito, per ora, a fare qualche nota a margine
su alcuni spunti che mi hai offerto.
Post by Marco V.
Dunque, Platone, interessato a tracciare una
"costituzione" del cosmo, parla innanzitutto di un "principio" distinto in
due "generi": «l'uno posto come _forma di esemplare_ (_paradeigmatos
eidos_; tieni presente la radice su cui è costruito _para-deigma_), come
_intellegibile_ (_noetòn_) e come _essere che è sempre allo stesso modo_;
il secondo come _imitazione dell'esemplare_ (_mimema paradeigmatos_), che
tieni presente la radice)»
Ho fatto la "ricerchina" :-)

_para-deigma_ è associato a _para-deiknymi_, il cui secondo termine ha
radice _deik-_, che è già una radice indoeuropea:
http://www.bartleby.com/61/roots/IE76.html
e sta per "indicare" o "mostrare" (sottinteso: con il "dito indice",
ovvero - volendo usare una lingua neolatina inventata al momento - con il
"dig-ito in-dic-e" :-) )

Dunque il _paradeigmotos eidos_ è "la forma specifica che viene mostrata
accanto". Qui ti farei notare che per fare queste "associazioni" occorre un
"dito che in-dica", il quale poi esprime una "intenzione" di un
"intelletto". Alla fine è l'intelletto che coglie quella associazione, che
"astrae" l'_eidos_ da tutte le cose che possono essere "mostrate accanto" ad
esso. Mi pare dunque che l'intuizione originaria che sta alla base dello
sviluppo semantico di questi termini sia già "aristotelica ante litteram", e
che Aristotele non abbia fatto altro che recuperare tale intuizione; un
recupero che si è configurato come reazione alla ontologia di Platone.
Insomma, già Aristotele aveva cominciato a "raschiare" :-)

Quanto all'altra "ricerchina", non sono riuscito a risalire oltre _orao_, il
quale comunque dovrebbe significare proprio l'atto di "vedere"; cioè "vedere
la forma concreta" (_morphé_), non come _(w)eidomai_, che - come abbiamo
visto - sta anche per "conoscere" nel senso di "vedere la forma specifica"
(_eidos_).
Post by Marco V.
A questo punto, l'ateniese introduce il "terzo genere"
[...]
_to en o gignetai_. Come la madre, dice l'ateniese.
[...]
è lo stesso Platone a qualificare ulteriormente _ypodoche_ nel modo
seguente: «una _specie_ (_eidos_) _invisibile_ (_anoraton_) ed
_amorfa_(_amorfon_), _capace di accogliere tutto_...»
[...]
Poi Platone prosegue, giungendo al punto di nostro interesse: «Lo stesso
ragionamento vale per la natura che riceve tutti i corpi [cioè per
_ypodoche_]...»
[...]
«...E _ciò che riceve_ (_to dechomenon_) conviene paragonarlo alla madre,
_ciò da cui riceve_ al padre (_to othen patrì_; qui "riceve" è
sottinteso"), e la natura che è di mezzo a questi al figlio».
Qui, come vedi, ho estratto alcuni passaggi particolari da tutto il tuo
complesso discorso, per cercare un certo "filo", che ora ti illustro.

Platone nomina la _hypodoché_. Termine associato a _hypo-dec(h)omai_, il cui
secondo termine sta appunto per "accettare" o "ricevere". L'_hypodoché_ è
dunque - come spieghi anche tu - "ciò che riceve passivamente", ovvero il
"ricettacolo". (Una confidenza: mi sembra di essere ad un corso introduttivo
di etnopsicanalisi :-) )

Poi tu, seguendo Platone, dici che questo "ricettacolo" è anche "ciò
*in cui* viene *generato* il sensibile", e questo può essere paragonato
alla *madre*. (Vedi sopra :-) )

Ora, come sai i romani per questa cosa "orginariamente informe" che poteva
essere "plasmata" usavano il termine _materia_, che manco a dirlo deriva
proprio da questa radice qua:
http://www.bartleby.com/61/roots/IE298.html

La _materia_, più precisamente, è la sostanza di cui è fatta la _mater_, la
"pianta madre" che *genera* i polloni. E - sorpresa - anche la semantica
greca produce delle associazioni analoghe, poiché abbiamo _hyle_ che
significa la stessa cosa ed ha una analoga origine "silvestre". D'altra
parte Aristotele, da quanto ne so, usa proprio _hyle_ quando dice che la
"composizione" (_synolon_) della "forma specifica" (_eidos_) e della
"materia" (_hyle_) producono la "sostanza" (_ousia_).

Perché allora Platone non chiama _hyle_ quel "ricettacolo", visto che
«conviene paragonarlo alla madre»? Forse nomina la _hyle_ in qualche altro
passo? E se è così, pone esplicitamente una correlazione fra la _hyle_ e la
_hypodoché_?
--
Saluti.
D.
Marco V.
2005-10-28 20:58:12 UTC
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Post by Davide Pioggia
Ti ringrazio per la "faticaccia" che ti sei fatto per cercare di darmi una
mano,
E ' stata una faticaccia interessante anche per me. E poi, come dicevo alla
fine, non mi convince la faccenda di _on amorphon_. In effetti sembrerebbe
che Reale abbia tradotto senza tener presente la differenza tra _morphé_ ed
_eidos_ - questo, anche se abbiamo visto che tale differenza è poi avvolta
dal problema stesso della dottrina delle idee di Platone.

e
Post by Davide Pioggia
_para-deigma_ è associato a _para-deiknymi_, il cui secondo termine ha
http://www.bartleby.com/61/roots/IE76.html
e sta per "indicare" o "mostrare" (sottinteso: con il "dito indice",
ovvero - volendo usare una lingua neolatina inventata al momento - con il
"dig-ito in-dic-e" :-) )
Ecco, meglio l'indice del medio:-). Sì, _deik_ nomina originariamente la
"solennità" del manifestarsi. E "solennità" qui sta ancora - secondo lo
schema ermeneutico che stiamo seguendo - la il non-dominiabile, il
ciò-su-cui-non-si-ha-potenza, l'im-ponentesi.
Post by Davide Pioggia
Dunque il _paradeigmotos eidos_ è "la forma specifica che viene mostrata
accanto". Qui ti farei notare che per fare queste "associazioni" occorre un
"dito che in-dica", il quale poi esprime una "intenzione" di un
"intelletto". Alla fine è l'intelletto che coglie quella associazione, che
"astrae" l'_eidos_ da tutte le cose che possono essere "mostrate accanto" ad
esso. Mi pare dunque che l'intuizione originaria che sta alla base dello
sviluppo semantico di questi termini sia già "aristotelica ante litteram", e
che Aristotele non abbia fatto altro che recuperare tale intuizione; un
recupero che si è configurato come reazione alla ontologia di Platone.
Insomma, già Aristotele aveva cominciato a "raschiare" :-).
Sicuramente, nel senso che il "manifestar(si)" viene poi congiunto ad una
operazione intellettiva. Quella operazione che è già implicitamente
contenuta nell'"indicare". Per recuperare l'originarietà semantica della
radice - per recuperare cioè quella non-potenza - occorrerebbe allora
determinare il "manifestar(si)" come l'*auto-indicantesi*: un indicare sì,
ma sé stesso. Ovvero, un indicare che non necessita di un altro indice.
Questo "recupero" è ciò che in parte effettua l'idealismo, e che Severino
ha spinto a quei livelli che sai. Tuttavia, lo stesso Aristotele, mi pare,
scrive qualcosa del genere sul _phainesthai_, che rimanda alla radice sulla
quale è costruito il nostro _fenomeno_.
Post by Davide Pioggia
Quanto all'altra "ricerchina", non sono riuscito a risalire oltre _orao_, il
quale comunque dovrebbe significare proprio l'atto di "vedere"; cioè "vedere
la forma concreta" (_morphé_), non come _(w)eidomai_, che - come abbiamo
visto - sta anche per "conoscere" nel senso di "vedere la forma specifica"
(_eidos_).
Seguendo il nostro schema, _or-ao_, in quanto costruito su una labiale,
dovrebbe rimandare al "timbro del flessibile". E la flessibilità dovrebbe
riguardare l'atto, l'azione nominata dal verbo. Quanto alla radice, c'è di
mezzo il _digamma_ (che indico con _w_). Dice Severino:
<<L'_ars_ è presente anche nel "guardare" (_orao_, e quindi nella
_the_or_ia_), "scoprire" (_eur-isko_), e pensare (_ph-ro-neo_). _orao_
sembra discendere da un _wora_, che, come _or-a_ [greco] (cfr. il latino
_c-ur-a_ e _v-er-eor_ e il greco _t-er-eo_) significa la cura, la
sollecitudine che mira a proteggere e a mantenere in proprio possesso il
veduto>>. Qui è interessante cercare di applicare lo schema alla relazione tra
il vedere ed il veduto. Ad esempio, potremmo dire che il _veduto_ di _orao_
non è il _veduto_ di _eidon_, perchè il primo è padroneggiato, o
padroneggiabile, da una operazione umana. Nel caso di _eidon_, invece, il
_veduto_ è contenuto dello stesso _eidon_, sul quale l'uomo non ha (avverte
di non avere) potenza. C'è, cioè, un gioco tra forma (grammaticalmente: il
verbo) e contenuto (il complemento oggetto). E questo gioco attraversa
tutta la filosofia (da un punto di vista della analisi linguistica, non
sarebbe difficile reperire già nelle radici etimologiche, la "ragione" di
quelle forme grammaticali che hanno reso possibili quei "giochi"
filosofici - il vedere-che-vede, l'essere-che-è) che tanto innervosiscono
gli analitici. Il vedere-che-vede è il vedere sul quale *non* si ha
potenza, perchè non corrisponde ad una operazione effettuata da un
"soggetto": è il verbo stesso a riferire a sè stesso il predicato verbale.
Il vedere-che-vede è un...indice senza medio, potremmo dire:-).
Post by Davide Pioggia
Qui, come vedi, ho estratto alcuni passaggi particolari da tutto il tuo
complesso discorso, per cercare un certo "filo", che ora ti illustro.
Poi tu, seguendo Platone, dici che questo "ricettacolo" è anche "ciò
*in cui* viene *generato* il sensibile", e questo può essere paragonato
alla *madre*. (Vedi sopra :-) )
Ora, come sai i romani per questa cosa "orginariamente informe" che poteva
essere "plasmata" usavano il termine _materia_, che manco a dirlo deriva
http://www.bartleby.com/61/roots/IE298.html
E manco a dirlo, Platone faceva, appunto, l'esempio della "madre, allo
scopo di esemplificare il _to en o gignetai_. La donna, per Platone, è un
"ciò in cui": un dead white male coi fiocchi e i controfiocchi, il sommo
genio ateniese:-).
Post by Davide Pioggia
La _materia_, più precisamente, è la sostanza di cui è fatta la _mater_, la
"pianta madre" che *genera* i polloni. E - sorpresa - anche la semantica
greca produce delle associazioni analoghe, poiché abbiamo _hyle_ che
significa la stessa cosa ed ha una analoga origine "silvestre". D'altra
parte Aristotele, da quanto ne so, usa proprio _hyle_ quando dice che la
"composizione" (_synolon_) della "forma specifica" (_eidos_) e della
"materia" (_hyle_) producono la "sostanza" (_ousia_).
Ti dico più. Come lo stesso Reale ricorda, Platone *non* usa _yle_ come
termine filosofico, ma lo usa solo nella sua accezione "volgare": nel senso
di _legname_, materiale a costruzione, e così via (e c'è un esempio proprio
nel Timeo). Sarà...
Post by Davide Pioggia
Perché allora Platone non chiama _hyle_ quel "ricettacolo", visto che
«conviene paragonarlo alla madre»? Forse nomina la _hyle_ in qualche altro
passo? E se è così, pone esplicitamente una correlazione fra la _hyle_ e la
_hypodoché_?
..sarà Aristotele ad usare _yle_ nella accezione filosofica di _materia_
(la _materia prima_, ad esempio). Ma non farà altro che sfruttare, ed
approfondire, la determinazione concettuale di _ypodoché_ data da Platone_:
ciò che *può* assumere forme differenti; ciò che dunque, in sè, è tale che
la sua _eidos_ è la _dynamis_ stessa (perchè se così non fosse, allora non
potrebbe ricevere, e manifestare, le forme divenienti). Aristotele dirà che
la sostanza è sì il significato "primo" dell'essere, quello che, concepito
come_ypocheimenon_ (_sostrato_), rende concepile (non contraddittorio) il
divenire, ma poichè esiste anche una _steresi_ della sostanza, deve
esistere una _materia prima_, che faccia da _ypocheimenon_ del divenire
della sostanza.

Platone, invece, dicevo, non fa questo uso filosofico del termine _yle_.
Per lui il "principio materiale" ha innanzitutto l'aspetto di _ypodoché_.
E poi quello, strettamente congiunto, di _chora_ (letteralmente: _regione_,
_contrada_), che Reale traduce con _spazialità_: la sede del divenire
concepita nella suo essere "spazio", potremmo dire. Buon lavoro nel
cercare di determinare il significato della differenza tra _ypodoché_ e
_chora_ :-).

Un saluto,

Marco
--
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p.l.
2005-10-29 14:09:20 UTC
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Post by Davide Pioggia
Ti ringrazio per la "faticaccia" che ti sei fatto per cercare di darmi una
mano,
oh, gente, vi sto seguendo e sono felicissimo di farlo: non ho competenze
per intervenire ma sto imparando un mucchio di cose. Così, solo per farvi
sapere che il vostro non è un dialogo solo tra voi e per ringraziarvi
marco
Davide Pioggia
2005-10-29 15:30:09 UTC
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Così, solo per farvi sapere che il vostro non è un dialogo solo tra voi e
per ringraziarvi
Ti ringrazio per il "sostegno morale" :-)

Effettivamente devo dire che ne è venuto fuori un thread che mi ha
appassionato un bel po', e mi sono pure divertito (è proprio vero che non
c'è mai fine alla perversione umana ;-) ).

Detto questo, per quel che mi riguarda mi sa che mi prenderò una pausa
di riflessione, perché ho un sacco di roba da digerire e metabolizzare,
e non vorrei fare una indigestione filosofica, ché è peggio della
sbornia da birra :-)

Alla prossima ( <= non è una minaccia, solo un avvertimento ;-) )
D.
Marco V.
2005-10-31 14:17:03 UTC
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Post by p.l.
Post by Davide Pioggia
Ti ringrazio per la "faticaccia" che ti sei fatto per cercare di darmi
una
Post by Davide Pioggia
mano,
oh, gente, vi sto seguendo e sono felicissimo di farlo: non ho competenze
per intervenire ma sto imparando un mucchio di cose. Così, solo per farvi
sapere che il vostro non è un dialogo solo tra voi e per ringraziarvi
marco
Mi accodo all'opinione di Davide, e ti ringrazio per l'apprezzamento.

Un saluto,

Marco

P.S.
Ne approfitto per una correzione. Dicevo: <<Seguendo il nostro schema,
_or-ao_, in quanto costruito su una *labiale*>>. Ovviamente, intendevo
*liquida*.
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Marco V.
2005-10-28 16:04:59 UTC
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Post by Marco V.
ha una traccia
eminente già in Eschilo [Agamennone, vv.163-166]: <<non ho che da
rivolgermi a Zeus _con un sapere che sa tutte le cose_ (_pant'
epistathmomenos_), se è necessario cacciare via dalla mente il dolore che
rende folli>>.
Mi accorgo solo ora di aver dimenicato, trascrivendo i versi di Eschilo,
un sintagma decisivo: l'avverbio _etetymos_ (quella _o_ è un _omega_,
ovviamente), che è la forma avverbiale dell'aggettivo _etetymos, on_, che
deriva a sua volta, per raddoppiamento, da _etymos, on_: _vero_ (è la
stessa radice sulla quale è costruito _etimo_, nel senso del _vero_
significato della parola. Il Rocci per il sostantivo _etymon_ dà: _intimo
significato della parola_; e mi domanda se anche _intimo_ non sia
costruito sulla stessa radice...).
Dunque quei versi vanno resi così:

<<non ho che da rivolgermi a Zeus con un sapere che sa (sappia) tutte le
cose, se è necessario cacciare via dalla mente _con verità_ il dolore che
rende folli>>. La coppia _epistathmomenos_/_etetymos_, ha reso possibile a
Severino di rintracciare già in Eschilo la struttura fondamentale
dell'episteme, per giunta collegata alla questione della liberazione dal
_dolore_. Così, per il filosofo bresciano, tutta la vicenda epistemica
occidentale, avrebbe come suoi estremi due "poeti": Eschilo e Leopardi.
Potenza dell'interpretazione.

Un saluto,

Marco
--
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andrea palazzi
2005-10-28 15:17:13 UTC
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Post by Davide Pioggia
1) _eidos_ o _idéa_ di Platone = forma specifica "trascendente"
2) _eidos_ di Aristotele = forma specifica "immanente"
3) _logos_ = concetto
Che ne è di questi termini nella tradizione occidentale?
'classe', nel senso dell'oop, object oriented programming?
alla brutta: la classe e' quel modello che genera istanze, gli oggetti reali
con cui si ha a che fare. fa' conto i .dot di word, quando fai file -
nuovo - e scegli un modello. molto piu' o molto meno, un timbro.
decisamente piu' concreta dell'idea platonica, ma non riesci a identificarla
in un qualunque singolo oggetto fenomenico, lo trascende.
ssussssurato questo, risprofondo. continuate, (almeno per un profano) e'
appassionante.
ciao, a.
Davide Pioggia
2005-10-28 18:03:50 UTC
Permalink
Post by andrea palazzi
'classe', nel senso dell'oop, object oriented programming?
alla brutta: la classe e' quel modello che genera istanze, gli oggetti
reali con cui si ha a che fare.
Sì, direi che più o meno è quella.
Post by andrea palazzi
decisamente piu' concreta dell'idea platonica, ma non riesci a
identificarla in un qualunque singolo oggetto fenomenico, lo trascende.
Ecco, appunto, è una cosa che «non riesci a identificarla in un qualunque
singolo oggetto fenomenico» e dunque «lo trascende».

A voler seguire la tua metafora su Word, dovremmo osservare che i .dot hanno
una loro esistenza reale, ma tu non "stampi" mai un .dot, ciò che "stampi" è
un .doc, che hai "generato" a partire da un .dot.

E Platone dice più o meno la stessa cosa: le "idee" hanno una loro esistenza
reale, stanno in una loro "directory" :-)

Platone chiama Iperuranio questa "directory dei .dot", e più tardi il
neoplatonismo e la teologia cristiana localizzeranno questa directory nella
"mente di Dio", o - più precisamente - nel Logos, che è poi il famoso Verbo,
quello che "era all'inizio" :-)

In che senso, allora, questa cosa che «trascende un qualunque singolo
oggetto fenomenico» è «decisamente più concreta dell'idea platonica»?

Non ti credere, è una bella grana :-)
Post by andrea palazzi
ssussssurato questo, risprofondo. continuate, (almeno per un profano) e'
appassionante.
Guarda, per me puoi intervenire quanto vuoi, visto che qua il primo a
brancolare nel buio sono io, e ogni spunto può essere illuminante. Anzi,
grazie per avermi suggerito il parallelo informatico: credo che prima o poi
mi verrà buono ;-)
--
Saluti.
D.
Marco V.
2005-10-29 11:32:02 UTC
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Post by Davide Pioggia
In che senso, allora, questa cosa che «trascende un qualunque singolo
oggetto fenomenico» è «decisamente più concreta dell'idea platonica»?
Non ti credere, è una bella grana :-)
Post by andrea palazzi
ssussssurato questo, risprofondo. continuate, (almeno per un profano) e'
appassionante.
Guarda, per me puoi intervenire quanto vuoi, visto che qua il primo a
brancolare nel buio sono io, e ogni spunto può essere illuminante. Anzi,
grazie per avermi suggerito il parallelo informatico: credo che prima o poi
mi verrà buono ;-)
Ne approfitto innanzitutto per correggere due mie sviste dovute alla
fretta:

- si scrive _ypokeimenon_ e non _ypocheimenon_, ovviamente (c'è il _k_ e
non il _chi_)

- si scrive, secondo le regole di translitterazione alfabeto
greco-alfabeto latino _hyle_ (come avevi fatto correttamente tu) e non
_yle_ (come per un lapsus avevo fatto io). C'è lo spirito aspro (che la
mia prof. chiamava "spirito caspro", richiamandone la configurazione
segnica a mo' di _c_).

Quanto alla questione della "trascendenza" della essenza rispetto ai
singli enti, sarebbe molto interessante discutere l'analisi che Heidegger
ha dedicato ad essa (una parte cospicua si trova in "Domande fondamentali
della filosofia", Mursia, 1990). Il tedesco in pratica sviscera la
sequenza semantica per determinare l'essenza...dell'essenza e per giungere
da _genos_ ad _eidos_ ed _idea_.

1.In sostanza, i Greci intenderebbero l'essenza come il _ che cosa è_
dell'ente - e questo sarebbe stato possibile perchè l'essenza è <<ciò da
cui la singola cosa, in quel *che* essa è, proviene, da cui discende; in
questo _provenire_ risuonerebbe _genos>>_. E su questo _provenire_ è poi
fondato il nesso tra _universalità_ ed _essenza_ (e si badi anche all'uso
aristotelico di _genos_). Dunque l'essenza viene intensa <<come
quell'essere (_einai_) del singolo ente, che esso, il singolo ente, era
già (_ti en_) prima di diventare questo singolo ente. L'espressione che
indica l'essenza suona dunque: _to tin en einai_ (lett. _ciò che era
essere_)>>. (che poi questo che ha detto Heidegger sembri una
contraddizione, è un altro paio di maniche).

2.Ma a questo punto il problema diviene il _che-cosa-è_ dell'ente. Ebbene,
qui il tedesco dice che per i Greci questo _che-cosa-è_ è <<quel che nella
cosa cui ci si rivolge è *costantemente presente*>>.

3. Ma questo _costantemente presente_ non può non essere il contenuto di
un _vedere_ E _vedere_ in greco è _idein_. Questo _vedere_, però, non può
essere il vedere con cui si scorge questa o quella determinatezza
specifica dell'ente, ma deve essere il _vedere_ che *anticipa* l'orizzonte
in cui, *poi*, è possible la presenza di questa o quella determinatezza
specifica. _idea_ è dunque l'aspetto, il tratto, la determinatezza
*anticipata* dell'ente. (e qui Heidegger si rifa', senza citarlo
esplicitamente, al celebre esempio kantiano della "casa", di cui noi
cogliamo di volta in volta i suoi singoli aspetti, i quali, però,
*sappiamo* essere aspetti-della-casa).

4. Quanto a questo _vedere_ in cui l'essenza, in quanto _idea_, viene
colta, Heidegher dice: <<Il vedere quell'aspetto che si chiama idea è un
guardare-fuori che estrae, è un vedere che costringe a vedere la cosa
prima che la cosa venga vista. Questo vedere, che conduce e vede nella sua
visibilità la cosa stessa da guardare prima che essa sia scorta, lo
denominiano quindi un _vedere-di-vedere_ [che rende il tedesco
_Er-sehen_]>>. Tutta questa ricostruzione implica certamente una
concezione contestabile (quella che identifica quasi senza residui
l'_einai_ dei greci ad _apparire_, _essere presente_) sulla quale troppo
ci sarebbe da dire, ma altrettanto certamente si ricollega ad alcune
considerazioni che abbiamo fatto durante la nostra discussione.

Un saluto,

Marco
--
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Marco V.
2005-10-25 13:32:11 UTC
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E infine: <<_u*eid_ [dove u*
indica la semivocale corrispondente al v latino] (sanscr. _ vét-i_, "sa",
_eidon_, _oida_, _vid-eo_ [latino, latino, greco]>>.
Ovviamente la mia indicazione della rispettiva lingua di appartenenza
delle ultime tre parole va rovesciata: greco, greco, latino.

Marco
--
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Marco V.
2005-11-01 20:45:54 UTC
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Post by Davide Pioggia
1) I punti precedenti vi sembrano condivisibili? In particolare, alcune di
quelle affermazioni solo vere solo per quel che riguarda i testi filosofici
di Platone e di Aristotele, o quegli usi erano già altrimenti attestati?
Ho trovato qualcosa di utile, a proposito dell'uso di _morphé_ e di
_eidos_, sebbene non nello stesso periodo o brano del medesimo autore.
Sinteticamente (la numerazione dei frammenti, per quanto riguarda i
presocratici, è quella di Diels-Kranz):

1. Eschilo, "Prometeo incatenato", v. 210: <<Gea che ha _nomi diversi ed
una forma sola_ (_pollòn onomaton morphé mian_)>>.

Interessante, no?:-).

2. Parmenide, Poema sulla Natura, fr. 8, v.53: <<Infatti essi [essi: i
_brotoi_: i _mortali_] stabilirono di dar nome a due _forme_
(_morphàs_)>>.

Non proseguo con il verso 54, perchè la sua traduzione - e si tratta di un
verso di 5 parole 5: _ton mian ou chreòn esti_ - presenta enormi
difficoltà (in sostanza la traduzione dipende totalmente dalla
interpretazione della_doxa_ parmenidea; Reale elenca ben 4 interpretazioni
grammaticalmente possibili). Le _due forme_ sono qui la _luce_ (_faos_) e
la _notte_ (_nyx_). La difficoltà consiste nel capire in che relazione
stanno queste due _forme_ con l'essere ed il non-essere di cui Parmenide
parla nella parte ontologica del suo poema.

3. Parmenide non usa _eidos_ in alcun punto del suo poema. Usa invece
l'espressione _eidota fota_ [fr. 1 v.3]: _uomo che sa_ (sta designando sé
stesso, ovviamente;-)). Tutti i significati attinenti l'_apparire_, sono
in Parmenide racchiusi da _noein_ (_pensare_), _nous_ (_mente_), _noema_
(_pensiero_).

4. Interessante anche osservare che in Parmenide [fr. 8, v.59] compare il
termine _demas_ (_figura_, _corpo_, _forma_, _persona_). E sarebbe forse
interessante una ricognizione sulla radice etimologica (è la stessa sulla
quale sono costruite parole come _domos_ (_casa_)).

5. Trovo anche, sul Rocci, la seguente espressione usata in Omero:
_aristos eidos te demas te_: _nobile di aspetto e di figura_.

6. _demas_ ricorre anche in Senofane. Nel fr. 14: <<ma sono i mortali del
parere che gli dei siano generati, e che abbiano la loro stessa veste,
voce e _figura_ (_demas_)>>.

7. Il fr. 15 di Senofane è particolarmente interessante: <<Ma se buoi
cavalli e leoni avendo le mani con le mani sapessero dipingere e compiere
opere come gli uomini, i cavalli ai cavalli e i buoi ai buoi simili
dipingerebbero _immagini_ (_ideas_), e corpi farebbero tali quale
anch'essi avrebbero ciascuno la _forma_ propria>>.

8. _eidea_ (forma plurale non contratta di _eidos_) ricorre in Empedocle.
fr.98: ...da essi venne ancora fuori sangue e _forme_ (_eidea_) di
carne>>. fr.115: <<...essi, numi che han vita per sorte longeva, tre volte
diecimila stagioni stiano lungi errando dai beati, nascendo in corso di
tempo in_forme_ (_eidea_) di esseri mortali di ogni sorta>>. fr.125:
<<perchè da vivi faceva in scambio di _forme_ (_eid'_) morti e viceversa>>.

Io credo che non ci siano dubbi che il "salto di livello" al termine
_eidos_ e al correlato _idea_, lo ha fatto fare Platone.

Un saluto,

Marco
--
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Davide Pioggia
2005-11-03 03:33:23 UTC
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Post by Marco V.
Io credo che non ci siano dubbi che il "salto di livello" al termine
_eidos_ e al correlato _idea_, lo ha fatto fare Platone.
Stando alle fonti che citi, parrebbe proprio di sì.

Però resto un poco perplesso sfogliando il Liddell-Scott, che alla voce
_eidos_ riporta i significati "genere, natura" facendo un riferimento a
Tucidide, che se non sbaglio sistemò i suoi appunti storiografici quando era
in esilio, cioè quando Platone era ancora un adolescente.

Ma i significati che ci interessano sono comunque quelli di "classe,
specie", circa i quali il dizionario ricorda - come possiamo aspettarci -
che sono frequenti in Platone, e poi compaiono in Aristotele. Vedo però che
in quella sezione il testo nomina anche Isocrate, che è di qualche anno più
vecchio di Platone.

Da quel poco che so e che ricordo Isocrate mi pare un po' il "fratello
maggiore sconosciuto" di Platone: entrambi vengono da famiglie ricche o
aristocratiche, entrambi vanno a scuola da Socrate, entrambi detestano i
sofisti (e qui riprendiamo il discorso che stiamo facendo da qualche tempo
altrove), entrambi non sono certo entusiasti del regime democratico, aprono
le loro scuole quasi contemporaneamente (Isocrate qualche anno prima),
eccetera. Si ha proprio l'impressione che il "relativismo" :-) introdotto
dai sofisti avesse prodotto un forte trauma per chi credeva fermamente che
fosse possibile - o meglio necessario - distinguere il Vero dal Falso e il
Bene dal Male, e che in certi strati sociali si fosse prodotta una
reazione per scongiurare il pericolo della dissoluzione dei valori e della
conoscenza. Purtroppo non abbiamo documenti che ci possono attestare
direttamente questo travaglio psicologico, però non ci sorprende che di
fronte ai "giochi di parole" dei sofisti (i quali poi sono legati ai nuovi
politici e alle nuove classi emergenti, quelle che si possono pagare gli
avvocati) qualcuno reagisca cercando di dimostrare una volta per tutte che -
poche storie - "cavallo" non è la stessa cosa di "non-cavallo", come dici
(anzi, come protesti ;-) ) sempre anche tu.

Non mi pare dunque di poter escludere del tutto che la reazione fosse
"nell'aria", e che per organizzarla fosse necessario mettere a punto certi
strumenti concettuali facendo fare un "salto di livello" a termini che fino
a quel momento avevano un significato concreto e comune.

Ma a parte questo, la tua citazione di Parmenide mi ha fatto riflettere su
un'altro aspetto di questa faccenda.

Platone ed Aristotele nel ricercare "quella certa cosa che hanno in comune
tutti i cavalli" non rivolgono lo sguardo su di sé, sulla propria attività
mentale, non arrivano a dire che quella certa cosa è nella loro testa, che
si tratta di un "concetto", ovvero del "concetto di cavallo". Noi oggi
usiamo "idea" proprio come contenuto mentale, e allora perché i nostri eroi
non hanno mai fatto quel passo "fatale"?

Si potrebbe pensare che non avessero i mezzi concettuali per esplorare i
contenuti mentali, ma altrove dimostrano di averli eccome quei mezzi. Però
quando si tratta di definire un "concetto" fanno due cose un po' strane:

1) lo chiamano _logos_, usando lo stesso termine che si usa per "parola",
come se non volessero tenere separato il "segno" dal "significato";
2) lo tengono ben distinto dall'_eidos_; riconoscono che i contenuti mentali
rispecchiano in qualche modo le essenze delle cose, ma le due cose
restano disgiunte (per Platone il "concetto" di un oggetto si forma
tramite la conoscenza dell'Idea dell'idea associata all'oggetto, mentre
per Aristotele tramite la conoscenza della sua essenza).

Eppure, come tu stesso hai ricordato, un termine ce l'avevano praticamente
pronto, ed era proprio _noema_. Tu lo hai tradotto con "pensiero", ma forse
faremmo bene a chiarire che si tratta del pensiero inteso come contenuto
mentale, non come facoltà del pensare. La facoltà di pensare è la _noesis_,
e ciò su cui si esercita quella facoltà è il _noema_.

Dunque se Platone ed Aristotele, nel cercare "quella cosa" - quella che fa
di un cavallo ciò che è - non la cercano nella testa di chi osserva il
cavallo ma la vanno a cercare fuori, discutendo poi se essa sia
"trascendente" o "immanente" rispetto al cavallo in carne e ossa, non è
certo perché non dispongono dei concetti e del lessico adeguato, ma è
proprio una scelta intenzionale, voluta. Dopo di loro "quella cosa" i
filosofi l'hanno cercata «in cielo in terra e in ogni luogo» ma per molti
secoli nessuno si è deciso una volta per tutte a rivolgere lo sguardo dentro
di sé. Fu dunque una scelta cruciale.

Tuttavia è una scelta comprensibile. Ancora oggi chi si occupa di logica e
di filosofia del linguaggio è terrorizzato dalla possibilità di
"precipitare" nello "psicologismo" e nel "soggettivismo". Certo, si è
cominciato a riconoscere che il "significato" o il "numero" sono oggetti
che, per così dire, "esistono nella mente", tuttavia tutti si danno un gran
da fare per chiarire che due più due fa quattro e farà sempre quattro;
faceva quattro quando non c'era nessun uomo a pensarlo a farà ancora quattro
se un giorno non ci sarà nessun uomo a pensarlo; e sicuramente fa quattro
anche nella mente di una ipotetica intelligenza extraterreste. Lo stesso
vale per il teorema di Pitagora e - venendo alla filosofia del linguaggio -
lo stesso vale per il "significato" dei termini e delle proposizioni. Quando
un filosofo costruisce una "teoria della proposizione" ci tiene sempre a
chiarire che quelle sono le "regole universali del pensiero", e se in una
lontana galassia c'è qualcuno che vuol "pensare" deve pagare i diritti
d'autore al nostro filosofo, così come deve pagare i diritti a Pitagora se
vuole usare i suoi dodici tentacoli per seminare qualche diavoleria nel suo
giardino a forma di triangolo rettangolo.

D'altra parte uno fa il filosofo proprio perché non sopporta quelli che
"ragionano male", figuriamoci se è disposto a distribuire a destra e a manca
dei certificati dove c'è scritto che l'essenza delle cose ed il significato
dei termini sta dentro la testa della gente: come minimo quelli se ne
approfittano e cominciano a gridare, che so, «la testa è mia e la gestisco
io». E se si comincia con la testa non si sa poi quali altri organi possano
essere coinvolti in assurde pretese come queste :-)

Così Platone "quella cosa" la mette al sicuro Lassù, mentre Aristotele
acconsente a lasciarla Quaggiù (ché effettivamente gli pare che il suo
maestro abbia un po' esagerato con le precauzioni), ma la chiude a chiave
"dentro le cose stesse", e proclama che solo i filosofi hanno diritto di
aprire quella porta e tirar fuori l'essenza delle cose dalle cose stesse.
In ogni caso i maledetti sofisti sono fregati ;-)

Hai capito perché ho l'impressione che fosse "nell'aria"?
Gli è che tirava una brutta aria :-)
--
Saluti.
D.
ideachiara
2005-11-05 01:11:04 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
D'altra parte uno fa il filosofo proprio perché non sopporta quelli che
"ragionano male", figuriamoci se è disposto a distribuire a destra e a manca
dei certificati dove c'è scritto che l'essenza delle cose ed il significato
dei termini sta dentro la testa della gente: come minimo quelli se ne
approfittano e cominciano a gridare, che so, «la testa è mia e la gestisco
io».
Sì, sì, è travagliato il passaggio dall'aoristo "eidon" (tradotto con
"vidi" nei manuali scolastici che non riescono a farci assaporare il
valore aspettuale, lasciandoci peregrinare nelle più svariate dimensioni
temporali) al perfetto "oida" ("so", risultato dell'avere visto): dal
vedere momentaneo a uno sguardo compiuto (complessivo) si corre il
rischio di sapere troppe cose (agli arditi si addice il sapere di non
sapere, mentre ai loro ammiratori sapere di non sapere tutto).
Il dolore della consapevolezza spetta ai sapienti, non a tutti i
"brotoi" (non a tutti i comuni mortali è concesso di seguire tal vocina:
"fatti non foste a viver come bruti ;-)
E con questa corbelleria (provo a giustificarmi con i fumi della febbre
e l'ansia di una tesi in glottologia che dovrei poter una buona volta
iniziare, dopo aver interrotto per qualche anno gli studi universitari)
colgo l'occasione per ringraziarvi del ripasso e degli spunti da varie
prospettive, alcune nuove o insolite per me.
Finalmente, riepilogo per assicurarmi di aver compreso i ruoli assegnati
ai termini nel contesto storico-concettuale in esame: il logos quale
_verbo_ (la cui radice etimologica con vocale+liquida si ritrova in una
famiglia lessicale davvero pregnante), la parola, segno indissolubile di
significante e significato, distinto dall'eidos inteso come aspetto
colto nella sua essenza universale al di fuori del noun (mente) che, dal
canto suo, può agire mediante la noesis (facoltà intellettiva) sul noema
(oggetto del pensare).
Post by Davide Pioggia
E se si comincia con la testa non si sa poi quali altri organi possano
essere coinvolti in assurde pretese come queste :-)
Eh, allievi famosi di Aristotele (come lui stesso, del resto) erano
scientificamente interessati al mondo vegetale, ma non era ancora
l'epoca giusta per i figli dei fiori (almeno non ci sono pervenute
attestazioni di un simile fenomeno, tranne casi "straordinari" di
libertà relativa ad etère e compagni ;-)
Post by Davide Pioggia
Così Platone "quella cosa" la mette al sicuro Lassù, mentre Aristotele
acconsente a lasciarla Quaggiù
Il mio instrumentum computatorium ringrazia il secondo: non per niente
ha nome "ideachiara" :-)
Post by Davide Pioggia
ma la chiude a chiave "dentro le cose stesse", e proclama che
solo i filosofi hanno diritto di aprire quella porta e tirar fuori
l'essenza delle cose dalle cose stesse.
Per una strana associazione di idee (quelle nostrane, sempre che non si
tratti di semplice, si fa per dire, sinapsi neuronale) ricordo che devo
ancora leggere "Clavis magna", sorta di manuale con il quale Giordano
Bruno si proponeva di perfezionare intelletto e memoria (lacerto di
recensione: «Possiamo dunque definire la Clavis Magna come il software
del cervello umano che è ancora impiegato solo in una percentuale minima
rispetto alle sue capacità reali».)
Post by Davide Pioggia
In ogni caso i maledetti sofisti sono fregati ;-)
Hai capito perché ho l'impressione che fosse "nell'aria"?
Gli è che tirava una brutta aria :-)
Magari più delle esalazioni da erbe venefiche (anche se la cicuta
dovrebbe essere quasi insapore: non so, mai l'ho bevuta né sono il
fantasma di Socrate ;-)

C.
--
idea fatta uscire dall'iperuranio per concessa libertà vigilata
Davide Pioggia
2005-11-05 16:42:21 UTC
Permalink
Post by ideachiara
Finalmente, riepilogo per assicurarmi di aver compreso i ruoli assegnati
ai termini nel contesto storico-concettuale in esame: il logos quale
_verbo_ (la cui radice etimologica con vocale+liquida si ritrova in una
famiglia lessicale davvero pregnante), la parola, segno indissolubile di
significante e significato, distinto dall'eidos inteso come aspetto
colto nella sua essenza universale al di fuori del noun (mente) che, dal
canto suo, può agire mediante la noesis (facoltà intellettiva) sul noema
(oggetto del pensare).
'Azz, mi hai steso: chilobàit e chilobàit di elucubrazioni mentali contorte
riassunte in un'unica frase da pronunciare tutta d'un fiato. Si vede proprio
il tocco della glottologa :-)

A proposito di glottologia, vediamo un po' di iniziare quella tesi, ché
sennò con la scusa delle u brevi in sillaba aperta e delle essenze
universali le tasse universitarie si accumulano :-)

Dài, scrivici un bell'articolo di glottologia, così noi ci facciamo una
cultura e intanto magari il primo capitolo è pronto. Poi per il secondo
qualcosa ci inventeremo ;-)
Post by ideachiara
idea fatta uscire dall'iperuranio per concessa libertà vigilata
Voglio parlare subito con i responsabili della sorveglianza! :-P

Alla prossima :-)
D.
..
ideachiara
2005-11-05 21:00:35 UTC
Permalink
Post by Davide Pioggia
'Azz, mi hai steso: chilobàit e chilobàit di elucubrazioni mentali contorte
riassunte in un'unica frase da pronunciare tutta d'un fiato. Si vede proprio
il tocco della glottologa :-)
No, temo sia il tocco dell'asciughina, dal momento che la materia-hyle
mi è stata fornita qui. Mi spiace di non riuscire ora ad aggiungere
altro riguardo alla distinzione morphé-forma e eidos-specie.
Potrei scioccamente tirare in ballo la mia situazione attuale di
convalescente: l'hypnos. pur mantenendo fede al suo eidos, è refrattario
ad assumere le sembianze di Morpheus. ;-)
Post by Davide Pioggia
A proposito di glottologia, vediamo un po' di iniziare quella tesi,
Finché la docente non escogita un argomento fattibile, non mi resta che
studiare l'inglese (lingua e letteratura) e linguistica generale.
Sto pensando se ancora vale la pena continuare in lavori precari o
premere l'acceleratore soltanto negli studi, tirando cinghia fino
all'autunno prossimo (ma la paura di rimanere tagliata fuori dal mercato
del lavoro è tanta).
Post by Davide Pioggia
ché
sennò con la scusa delle u brevi in sillaba aperta
Ho continuato la saga con gli allotropi dotti (per tirarmi secchiate in
testa ;)
Post by Davide Pioggia
le tasse universitarie si accumulano :-)
Nella sfortuna di un modesto reddito, ho la fortuna di pagare poche
tasse (rinuncio volentieri a un'eventuale settimana bianca nella bassa
stagione, ché tanto non so sciare: disse la volpe all'uva ;-)
Post by Davide Pioggia
Dài, scrivici un bell'articolo di glottologia,
Eh, una volta guarita del tutto, volendo seguire i tuoi consigli dovrei
dedicarmi anima e corpo allo studium: come riuscirò a scrivere qui? ;-)
Tra l'altro, temo che la tesi possa risultare insolita agli utenti
abituali: la docente non può pestare i piedi ai professori di greco, né
se la sente di affidarmi ricerche etimologiche sull'indoeuropeo (come
avrei desiderato io, che ignoravo i tempi giurassici di simili
operazioni); rimangono le lingue pre-romane (con lo scoglio di
etruscologia che non ho inserito nel piano di studi già bello denso) e
il venetico che potrebbe soddisfare entrambe, se non fosse che è rimasto
ben poco da dire.
Post by Davide Pioggia
così noi ci facciamo una
cultura e intanto magari il primo capitolo è pronto. Poi per il secondo
qualcosa ci inventeremo ;-)
Sì, bisognerebbe inventare la macchina del tempo o, meglio, fermare il
tempo. ;-)
Gli è che sono arrugginita: mi sento come chi, caduto da cavallo, per
quanti sforzi faccia, non riesce a rimanere in equilibrio sulla sella e
trova scivolose le staffe.
Post by Davide Pioggia
Voglio parlare subito con i responsabili della sorveglianza! :-P
Lo so da me, che sono da rinchiudere, eheh.
Post by Davide Pioggia
Alla prossima :-)
Volentieri, tempo e argomenti permettendo.

C.
--
idea chiara = nomina sunt causa rerum (licenza prosaica)
Righel
2005-11-06 23:08:51 UTC
Permalink
... la docente non può pestare i piedi ai professori di greco, né
se la sente di affidarmi ricerche etimologiche sull'indoeuropeo (come
avrei desiderato io, che ignoravo i tempi giurassici di simili
operazioni); rimangono le lingue pre-romane (con lo scoglio di
etruscologia che non ho inserito nel piano di studi già bello denso) e
il venetico che potrebbe soddisfare entrambe, se non fosse che è rimasto
ben poco da dire.
Rimane invece ancora molto (quasi tutto) da dire sull'osco, che pure ha
penetrato di sè mezza Italia.
Se potessi tornare indietro di quarant'anni e di venti chili mi ci butterei
a capofitto in un'impresa simile. :)

Saluti,
--
Righel (e-m in "Reply To")
___________________________
http://digilander.libero.it/F.I.S.A/
http://www.na.astro.it/uan
ideachiara
2005-11-08 23:24:46 UTC
Permalink
Post by Righel
Rimane invece ancora molto (quasi tutto) da dire sull'osco, che pure ha
penetrato di sè mezza Italia.
Sì, mi ricordo di aver adocchiato parecchie attestazioni e bibliografia
in merito, quando sostenni il primo esame di glottologia: il corso
monografico riguardava, per l'appunto, le lingue dell'Italia pre-romana;
tuttavia, non credo che in questo periodo la docente pensi di farmi
svolgere ricerche nel settore (forse tenendo conto che noi siamo fra le
brume del nordest).
Post by Righel
Se potessi tornare indietro di quarant'anni e di venti chili mi ci butterei
a capofitto in un'impresa simile. :)
Con qualche chilo e del tempo in più, è probabile che il mio entusiasmo
possa rafforzarsi: terrò presente, infatti, anche il tuo suggerimento
sull'osco-umbro. Tanto più che non mi dispiacerebbe ripercorrere
fisicamente le orme dei Sanniti. :-)
Post by Righel
Saluti,
Saluti anche a te.

C.
--
«Bellezza è verità, verità è bellezza» - questo è tutto
quello che voi sapete sulla terra, e tutto quanto vi basta sapere.
(Ode on a Grecian Urn, di John Keats)
Marco V.
2005-11-07 09:52:12 UTC
Permalink
Post by ideachiara
(ma la paura di rimanere tagliata fuori dal mercato
del lavoro è tanta).
Paura legittima. Perché di questi tempi, se si rimane tagliati fuori dal
_mercato del lavoro_, si può sempre trovare un _lavoro al mercato_. Ed è
un chiasmo non auspicabile:-).

Saluti,

Marco
--
questo articolo e` stato inviato via web dal servizio gratuito
http://www.newsland.it/news segnala gli abusi ad ***@newsland.it
ideachiara
2005-11-08 23:24:47 UTC
Permalink
Post by Marco V.
Paura legittima. Perché di questi tempi, se si rimane tagliati fuori dal
_mercato del lavoro_, si può sempre trovare un _lavoro al mercato_. Ed è
un chiasmo non auspicabile:-).
L'aria mattutina di Lucifero mi risulta sia corroborante.
Scherzando scherzando, già ora svolgo mansioni da cosiddetta mondina
degli anni zero del XXI secolo. :-)
Post by Marco V.
Saluti,
Ricambiati.

C.
--
«Bellezza è verità, verità è bellezza» - questo è tutto
quello che voi sapete sulla terra, e tutto quanto vi basta sapere.
(Ode on a Grecian Urn, di John Keats)
Continua a leggere su narkive:
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